Ovvero: dimmi quanto guadagni e ti dirò chi sei
Abbiamo capito, dopo il confronto televisivo, i propositi dei tre concorrenti alla segreteria Pd. O forse no. Però un punto fermo è emerso dalla discussione. Sappiamo, infatti, quanto guadagnano, i beni immobili di cui dispongono, la cilindrata e il tipo ( anche se non il colore ) delle automobili che portano. E sappiamo anche che le informazioni fornite all’intervistatore di Sky sono corrette (nel senso di non essere state smentite da nessuno). E, per chiudere, pensiamo di sapere che le sue domande sulla questione fossero considerate, dall’intervistatore stesso, importanti.
Ma importanti perché?
Osserviamo, innanzitutto, che il problema sembra interessare solo quando riguarda i politici. Nessuno si sognerebbe mai di chiedere conto di stipendi, premi e benefits ai giornalisti, politologi, imprenditori, magistrati presenti nei vari talk show; e quasi sempre in veste di fustigatori della politica e dei suoi costi. I loro privilegi saranno anche maggiori di quelli di cui godono i politici; ma ciò non toglie nulla alla comune convinzione che privilegiati per definizione siano questi ultimi.
E, quindi, che questi siano pregiudizialmente chiamati a rendere conto e a giustificarsi. O, più esattamente, a pentirsi; in nome e per conto della categoria.
Privilegiati, dunque; ma in che senso?
Per capirci qualcosa, torniamo al dibattito di Sky. Qui non si trattava soltanto di conoscere le opinioni e le proposte dei candidati. Ma anche di valutare la loro personalità e i loro comportamenti passati. Nel confronto politico americano questo parametro di valutazione (come hai votato al Congresso; come hai gestito il tuo stato o la tua città; quali sono i tuoi referenti nella società civile; come ti schieri sulle questioni di coscienza; e così via) è assolutamente centrale. In Italia non si va molto al di là della dichiarazione dei redditi; e della nota spese.
“Dimmi quanto guadagni e ti dirò chi sei”, si diceva all’inizio. Ma la domanda vera è un’altra: “fammi sapere quanto guadagni perché del resto non mi importa nulla”: traduzione in volgare della chiacchiera sui “costi della politica”. Costi che, nell’immaginario collettivo corrente, potrebbero essere tranquillamente ridotti a zero; perché viene escluso in partenza che, dall’azione politica, possa emergere un qualsivoglia beneficio di carattere generale.
E però, sono i politici stessi a subire, che dico a promuovere questo andazzo: per viltà, per incapacità o per istinto di autodistruzione. “Trasparenza” è la parola d’ordine; con la relativa fioritura di assessorati addetti alla bisogna; anch’essi purtroppo del tutto opachi nei loro orientamenti e nelle loro procedure. Emerge, comunque, una linea d’insieme: nessuna attenzione alla opacità della politica e dell’amministrazione locale, disponibilità, magari anche limitata e diffondere notizie sugli emolumenti degli assessori o, se del caso, sul colore delle loro mutande. Il tutto, nella granitica, e fondata convinzione che il rapporto tra cittadini, candidati ed eletti, sia e rimanga saldamente basato sulla logica del voto di scambio; una logica in cui il tema dei propositi politici e delle opinioni del candidato ha un peso uguale a zero.
Su questo, Batman e il moralista di turno la pensano, in definitiva, allo stesso modo. O meglio, partono da presupposti radicalmente diversi per arrivare alle stesse conclusioni.
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