È inutile girarci intorno, Gianni Vattimo è stato un «cattivo maestro» tra i docenti che hanno insegnato nell’Ateneo torinese. La sua vicenda esistenziale è stata un impasto di contraddizioni, coperte sotto un linguaggio filosofico astruso e poco intelligibile. Prospettiva che si estrinseca in modi diversi nel rifiuto di ogni concezione assoluta e nella proposta di una fede cristiana, basata sulla carità e sull’aiuto reciproco tra gli uomini. Posizione che gli deriva dalla sua giovanile militanza nell’Azione cattolica che nel corso degli anni è assorbita da un’adesione all’ideologia comunista e dall’attività politica in partiti politici diversi tra loro: prima nel Partito radicale e in Alleanza per Torino, poi nei Democratici di sinistra (dal 1999 al 2004), per i quali è stato deputato europeo, nel Partito dei comunisti italiani e nell’Italia dei valori (dal 2009 al 2015).

Di fronte alla sua morte, avvenuta il 19 settembre 2023 all’ospedale di Rivoli, pochi si sono sottratti al peana entusiastico del filosofo torinese, già definito da Angelo Pezzana su «Bet Magazine Mosaico» (23 febbraio 2023) un «cattivo maestro», perché «inneggiava fino a ieri all’atomica in mano agli Ayatollah, alla produzione da parte di un regime che assassina i suoi giovani». Non si dimentichi, inoltre, la richiesta di Vattimo a boicottare gli scrittori israeliani al Salone del libro nel maggio 2008 e la sua affermazione secondo cui «Israele è l’industria dell’Olocausto e gli ebrei italiani sono accecati dal sionismo». In quell’anno le cronache dei giornali traboccano di dichiarazioni insulse di Vattimo, che addirittura evoca i falsi «Protocolli di Sion» per esprimere i suoi dubbi sul famoso testo della polizia zarista come essenziale per comprendere l’antisemitismo moderno.  

Con il  suo «pensiero debole», nutrito dalle riflessioni nietzschiane e heideggeriane, le posizioni del filosofo torinese sfociano in un trasformismo diseducativo e deleterio al mutamento sociale. Sul piano filosofico la sua lezione appare lontana dal mondo moderno che, inficiato di egoismi e di assenza del bene comune, assiste impassibile alla morte di Dio, trovando rifugio in una religione secolarizzata del cattolicesimo, coniugata con un ideale comunista astratto e privo di aderenza alla realtà. Un aspetto rilevato anche da Pier Franco Quaglieni, che rileva «un’adesione sempre più marcata alla sinistra ideologica e giacobina con ampio recupero del pensiero di Marx» («Pannunzio Magazine», 20 settembre 2023). Quaglieni ricorda la dicotomia tra marxismo e laicità, difficilmente conciliabile con il suo «pensiero debole», peraltro lontano dalle posizioni di Norberto Bobbio, che nei suoi numerosi scritti giammai si è interessato delle riflessioni di Vattimo. Così Quaglieni conferma la distanza dal filosofo appena scomparso e aderisce alle tesi di Bobbio per il suo pluralismo politico e la sua «apertura» alla «società aperta» di impianto popperiano. Per questi motivi è necessario invece un «pensiero forte», dotato di razionalità e di scientificità che guidano l’uomo nel suo percorso di essere vivente in armonia con la natura e in rapporti benevoli con gli altri.