Ritengo sia possibile dare una lettura metaforica dei mondiali di calcio, particolarmente dell’impresa degli azzurri. Si può leggere il loro operato come uno specchio della nostra società, politica e civile.
Il loro gioco non era improntato alla volontà di vincere, coraggioso, ma a scamparla, a cercare di passare l’esame puntando sulla fortuna, sull’eventuale incapacità degli avversari. I nostri atleti apparivano selezionati e schierati con tale criterio. E dopo la sconfitta i dirigenti del calcio non si sono soffermati su una analisi puntuale del cattivo risultato ma o si sono allontanati con acrimonia, lasciando magari il Paese, o si sono subito premurati di organizzare un ricambio che non alterasse gli equilibri di potere.
In sintesi ha fatto difetto il coraggio, l’orgoglio, l’appartenenza, potremmo dire con linguaggio desueto: mancavano di virtus-areté .
E’ facile vedervi un rispecchiamento di comportamenti e scelte della gran parte degli attori della politica nazionale.
Provo a spiegarmi meglio: assistiamo ad un dibattito sterile sulla flessibilità, sul disavanzo e come misurarlo, proposte italiane e dettami consolidati della Ue, piuttosto che ad una azione energica che affronti il nodo del debito pubblico, enorme ed in continua crescita. Servirebbero tagli alla organizzazione statuale, magari schematici, piuttosto che cercare di dipanare una matassa che si è fatta da tempo gnommero . Semplificherebbe il successivo lavoro certosino di spending review.
Il fatto è che il coraggio (virtus-areté) di agire, anche nel calcio, è l’esito di una classe dirigente (aristocrazia) animata da ideali e programmi conseguenti. Una classe dirigente che governi. Ma in Italia non l’abbiamo, non abbiamo una aristocrazia ma gruppi di potere. Magistratura, classe docente, vertici dell’amministrazione etc. che dovrebbero rappresentarne i cardini costitutivi, e fungere da esempio per il resto della popolazione, appaiono perlopiù centrati sulla difesa di privilegi. Nelle more della crisi che ci colpisce dovrebbero spogliarsene, non difendere il loro.
Senza coraggio, virtù, non si danno classi dirigenti di governo, aristocrazie. E per chiarezza, virtù e aristocrazia non sono in contrasto con gli ideali della democrazia, sono una visione metafisica che permette di dare indirizzi e pratiche conseguenti.
Il calcio è una metafora: certamente. Lo è dal punto di vista del sistema-calcio e lo è dal punto di vista del sistema-paese e lo si legge attraverso parallelismi di entrambi. Ma, se così è, che fine fanno in questa metafora gli spettatori/tifosi e gli italiani/cittadini? Ingloriosa entrambi, penso. Se il calcio è così, è perché lo si permette e se in Italia le “riforme strutturali necessarie” – basate sull’assunto che esistano delle riforme strutturali “necessarie” che i paesi devono fare se vogliono tornare a crescere – viaggiano su strane deleghe fideistiche alla compagine governativa di turno, è perché non ci si sofferma a riflettere sulle assurdità e le storture: cioè, si permette che sia così. L’assenza di partecipazione intelligente e di pensiero critico, nel sostegno/tifo calcistico come nell’affidamento politico, fa sì che ci si improvvisi tecnici/economisti politologi, salvo poi, di fronte agli insuccessi, buttare tutto a mare, con le pive nel sacco. Sostenere astrattamente l’esistenza di “riforme necessarie”, aderendo allo schema europeo di concedere incentivi finanziari agli stati in cambio di riforme strutturali, così come sostenere una squadra che si difende, proiettata “…a scamparla, a cercare di passare l’esame puntando sulla fortuna, sull’eventuale incapacità degli avversari…”, con il miraggio di una vittoria salvifica, implica ritenere economicamente e socialmente ininfluenti gli esiti distributivi delle riforme (le riforme strutturali sono in primo luogo sempre delle riforme “distributive”, vanno cioè a modificare in modo strutturale la distribuzione delle risorse all’interno della società), così come ritenere calcisticamente ininfluenti gli esiti spettacolari del gioco, il coraggio, l’esistenza di uno “squadrone” che soddisfi il godimento di una partita e la corresponsione miliardaria ai protagonisti del mercato del calcio. Insomma, le metafore dei sistemi includono sempre i protagonisti apparentemente assenti, che ne rendono possibile l’autoconservazione. Anche in questo caso, come per la legge, l’ignoranza non è ammessa: o è superficialità, o è collusione.
Insomma, sono d’accordo con Piero.
Mi congratulo con l’Autore che ha sintetizzato in poche righe quello che in molti hanno pensato sulla performance nazionale.
Mi permetto solo di aggiungere che lo stesso concetto metaforico si può facilmente estendere alle prestazioni di Brasile e Germania. Entrambe espressione di background differenti che hanno influenzato le rispettive prestazioni sportive.
Giampaolo