L’editoriale del direttore, sul numero di aprile di Mondoperaio, mi induce più che mai a riflettere. Da decenni ci dibattiamo alla ricerca di una nuova “forma-partito”, non solo a sinistra. Non mancano al riguardo analisi e proposte, volte ad esempio a coniugare radicamento sul territorio e partecipazione digitale. Le primarie del Pd, poi, offrono l’occasione per provare a comprendere meglio il rapporto fra quel soggetto politico e il resto della società, quasi fossero l’interfaccia fra essi.
Soffermiamoci per un istante su una domanda: come mai è diventato così difficile trovare tale “forma”? Oggi i partiti, nell’immaginario di tanti, rappresentano l’emblema di una sorta di democrazia “sotto tutela”, con cittadini “minorenni” bisognosi quasi di venir imboccati. D’altro canto molti notano come i membri di una “società civile” più che mai frammentata si costruiscano delle “nicchie” (spesso telematiche) nelle quali è assai incerto e sfumato il confine fra verità, mezze verità e bugie. Nelle quali, inoltre, non di rado si finisce per comunicare con se stessi, inseguendo la condivisione come un miraggio.
Rispetto a ciò che sembrava delinearsi all’indomani di Tangentopoli, dunque, la linea di frattura non è fra “società politica” e cittadini. Fra i mille rivoli dai quali questi ultimi vengono lambiti, l’unica koinè pare essere un’indignazione generica e sterile, nutrita di luoghi comuni. Il difficile non è tanto scorgere il fondo di verità che può nascondersi dietro tali luoghi comuni, quanto farne emergere la pars construens, vale a dire le proposte più efficaci al fine di risolvere i problemi e irrobustire la democrazia.
Da qui l’esigenza di “vasi comunicanti”: idee ed esperienze non dovrebbero restare confinate nelle nicchie, neppure in quelle digitali: bensì circolare in spazi aperti e arieggiati. Ecco il senso di una rifondazione delle forze politiche: offrire all’insieme della società, con le sue spinte e controspinte, dei luoghi di confronto e di elaborazione, di scambio e di crescita.
Ѐ qui il senso di una comunità politica rispetto a un più ampio spazio pubblico tanto prezioso quanto caotico. Detto altrimenti: i partiti dovrebbero contribuire a passare dalla cacofonia alla polifonia. Un’utopia, con i tempi che corrono? Forse.
La cacofonia era l’effetto collaterale implicito nella riforma elettorale del1993. La pretesa di far nascere soggetti politici alternativi ex opere operato (cioè soltanto in virtù dell’introduzione del maggioritario ed in assenza invece di una riflessione critica sui primi cinquant’anni di vita repubblicana) non poteva che dar vita alla cacofonia della reciproca delegittimazione fra destra e sinistra. Ora che sembra tornare il proporzionale, però, c’è il rischio che la cacofonia resti: anche perchè gli schieramenti che si confronteranno nelle elezioni non coincideranno con quelli che si formeranno dopo le elezioni. E non avranno nemmeno quello straccio di legittimazione elettorale che bene o male avevano fino al 2013.