C’è qualcosa di surreale nelle reazioni di Berlusconi e dei berlusconiani alle “rivelazioni” di Geithner sulla crisi del 2011. Parlano di “colpo di Stato” (anzi, di colpo di Stato multiplo), ma poi si limitano a chiedere una commissione d’inchiesta (istituto, diceva Nenni, che in genere serve ad insabbiare le questioni scomode). Come se Facta avesse preteso una commissione d’inchiesta sulla marcia su Roma e sull’incarico a Mussolini. E come se Berlusconi, tre anni fa, avesse lasciato palazzo Chigi su un’ambulanza. Senza dire dell’incoerenza di cui avrebbe dato prova lo stesso Berlusconi due anni dopo nel promuovere la rielezione del golpista principale.
Ma non c’è da stupirsi. E’ solo l’ennesimo sintomo di come da quelle parti si concepisce l’autonomia della politica, pur invocata come una litania contro l’invadenza dei Pm e dei “poteri forti”. Prima c’era stata la minaccia di Gasparri e Calderoli di denunciare Renzi all’autorità giudiziaria per diffamazione dei funzionari del Senato. E prima ancora l’approvazione della legge Severino, che un anno dopo si voleva rinviare alla Corte costituzionale.
Uno statista, se subisce un golpe, o resiste o si ritira: per rispetto di se stesso, ma anche della volontà dei milioni di cittadini che lo hanno eletto. Se invece va a lamentarsi da Vespa, non è uno statista, e della volontà degli elettori se ne infischia: non proprio il massimo dell’affidabilità, alla vigilia di una nuova consultazione elettorale.