Nell’ambito del dibattito sulla crisi della rappresentanza politica e sui sistemi elettorali vorrei intervenire su una questione che ritengo strettamente correlata: gli strumenti di comunicazione al servizio di una efficace, capillare, campagna elettorale (non solo l’uso dei media tradizionali, televisioni, radio, giornali elettronici, ma anche sms, posta elettronica, social network).
Siamo sommersi da un continuo discutere sull’importanza di tali strumenti di comunicazione: il loro uso nella campagne per le elezioni presidenziali americane, particolarmente quella sviluppata dal presidente Obama, è stato indicato come un esempio da studiare e possibilmente imitare. Gli stessi successi berlusconiani e di contro gli insuccessi della sinistra italiana sono stati addebitati all’impiego più o meno sapiente, “moderno”, di queste risorse tecnologiche.
Si tratta di una interpretazione semplicistica ma che si sposa con la nostra situazione politica caratterizzata dall’assenza di progetti di respiro e con caratteri culturali specifici del nostro paese.
Siamo bombardati da un dibattito (un dibattersi?) dei nostri politici sulle televisioni, giornali, twitter etc; la nascita dei canali informativi 24 ore su 24 riempie le nostre giornate con notizie di poco conto e discussioni estenuanti. Le proposte realistiche sono assenti e i buoni propositi presto annullati da opposizioni interessate. Si è venuto costruendo un ragionamento diffuso che tende a rovesciare forma e contenuto. Tale stato di cose ha favorito l’ascesa a interlocutore del Quirinale di un comico, seppure privo, alla prova dei fatti, di capacità di proposta e di una politica di alleanze in grado di organizzare maggioranze di governo.
Ma di cosa è fatta una campagna elettorale? Portare una proposta politica attraverso messaggi anche semplici a diversi ambienti sociali per richiedere il loro consenso. Nella nostra realtà assistiamo a una quota importante dell’elettorato che in mancanza di proposte di riforma sposta da decenni l’accento sul voto di protesta e su di un crescente e oramai maggioritario astensionismo. In tale scenario mettere l’accento sull’importanza risolutiva dei mezzi di comunicazione si coniuga con una tradizione culturale ben radicata nel paese: un individualismo che non contrastato da progetti politici realistici si estremizza nei comportamenti, nel linguaggio. La nostra è purtroppo una cultura dell’aforisma, una maledizione che Leopardi, nello Zibaldone, riguardo il carattere degli italiani, delineava con termini ancora validi: siamo un popolo che non sa discutere insieme, costruire un ragionamento condiviso perché non abbiamo fondamenti culturali comuni. Non abbiamo una classe dirigente con valori condivisi, forme di rispetto intellettuale su cui si consolida una società; ognuno la pensa come gli pare e quando uno prova a dire una cosa intelligente ci sarà sempre un altro che farà una battuta di spirito distruttiva. Tanto più sarà intelligente l’incipit tanto più una battuta fulminante impedirà il dialogo.
L’assenza di un progetto politico realistico, di chi se ne fa portavoce, favorisce questa “arguzia”. Il progetto complesso è annichilito dai suoi necessari limiti. Servirebbe chi si facesse promotore di una riflessione pacata, di capacità di ascolto e di un intervento appropriato, di dialogo costruttivo tra pari rispettosi. Il sistema televisivo ha dato un contributo esiziale a questo nostro carattere. Basta analizzare la funzione del giornalista nelle tante trasmissioni di indagine e commento: non è un mediatore, è un provocatore, un giudice di parte. Del resto Ortega y Gasset, negli anni ’30, già vedeva nel giornalista il moderno demagogo: e non aveva ancora visto la televisione, non conosceva twitter.
La nostra è una società apolitica, di consumatori di beni e idee deboli, transeunti, che ben si coniuga con il nostro carattere nazionale individualistico e quindi rissoso. La trasformazione da cittadini a consumatori di mode politicamente corrette ha avvantaggiato non solo le diverse lobbies ma le nuove forme di capitale finanziario. Il giornalista fazioso e ignorante è stato lo strumento principe di tale consolidamento.
Servirebbe un discorso articolato: e se si analizzasse con cura la campagna elettorale obamiana si vedrebbe come gli strumenti mediatici erano stati messi al servizio di un progetto e di un sogno: la riforma del welfare e la possibilità di cambiare la politica repubblicana mediante un leader dotato di indubbio carisma. Una campagna elettorale richiede un leader del cuore che sospinga le volontà diffuse, le raccolga, e che al contempo sia un leader della mente, portatore di un progetto realistico di riforme.
I più moderni ed efficaci sistemi di propaganda sono strumenti, forme, che possono aiutare ma non sostituire questioni che stanno a monte e che per semplicità possiamo chiamare contenuti di una proposta politica ai vari livelli. In sostanza l’intervento sui media, giornali e tv, la promozione via internet, cellulare, anche se ben strutturata, è di poca utilità se mancano i fondamentali della politica; possono essere di aiuto ma non sostitutivi. A fronte di una situazione politica data, e l’attuale italiana è particolarmente drammatica, non vi sono scorciatoie tecnologico-mediatiche. Servono analisi approfondite, gambe e consapevolezza di rapido ricambio, altro e di più di un aforisma.
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