Che l’accordo Bersani-Vendola sia conveniente per entrambi è del tutto ovvio. Il Pd si vede garantita una sponda importante nell’area della sinistra radicale. Sel acquista il ruolo esercitato con grandissimo successo dalla Lega dal 2000 in poi e gettato al vento da Bertinotti dopo il 1996 e da Di Pietro dopo il 2008; quello di partner critico del partito di riferimento all’interno dei due schieramenti. Tutto questo a prescindere dal “porcellum”che rende l’intesa elettoralmente essenziale.
Sulla sua qualità, almeno qui ed oggi, ci sarebbe molto da discutere. Aspettavamo un’agenda per la ricostruzione economica e sociale del nostro paese, qualitativamente diversa da quella di Monti (anche se non necessariamente in polemico contrasto con quella). Abbiamo invece avuto una sceneggiata, all’insegna del “poliziotto buono/poliziotto cattivo”.
Così Vendola manda all’inferno (cattocomunismo?) i ricchi assieme a Monti, mostro inumano; mentre Bersani riempie le sue liste di capitalisti e liberisti magari pure selvaggi e giudica l’agenda di Monti (da rottamare, assieme al suo autore, per il Governatore) condivisibile sotto vari aspetti.
Un gioco delle parti, alla fin fine più ingenuo che cinico: con il segretario che prende atto con ironia delle sparate del suo alleato (“bisogna capirlo: deve dare un po’ di guazza alla sua gente”) e quest’ultimo parla di rottamazione delle scelte del 2012 sapendo benissimo che non ce ne sarà praticamente nessuna. Anche perché, al dunque, conterà l’unica clausola concreta dell’accordo; il fatto che le scelte della sinistra, in Parlamento e nel governo saranno decise a maggioranza e saranno vincolanti per tutti.
Ma anche un’esibizione dove il trucco è visibile al più sprovveduto degli spettatori, così da non avere alcuna efficacia elettorale; né nei confronti dell’area Ingroia; né, ciò che più conta rispetto all’area Monti (che, per dirla tutta, guarda sì a Vendola con preoccupazione; ma non per quello che potrà fare ma per quello che potrà impedire, modello Cofferati-Pecoraro Scanio…).
Oltre, molto probabilmente non si andrà. A Bersani la sostanza; a Vendola i voli pindarici. Nell’un caso e nell’altro, il minimo sindacale. Niente che configuri un’alleanza costruita su di un progetto. Un’occasione perduta, al di là dell’esito, per certi versi scontato, delle elezioni. Una sconfitta in particolare per Vendola; non più esponente di una sinistra antagonistica e sfascista; non ancora leader di una sinistra di governo. E, quindi, irrimediabilmente parolaio; all’insegna del “me le ha date; però gliele ho dette”.
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