“Sans papiers”. “Irregolari”. “Illegali”. E, per finire, “clandestini”. A parole, sembrano le tappe di una discesa agli inferi nel pubblico obbrobrio. Essere privo di documenti raffigura una situazione contingente e sanabile. Essere clandestini evoca invece, magari a torto, una scelta esistenziale oscuramente legata ad una naturale disponibilità a delinquere.
Si potrebbe allora pensare che ad una definizione diversa corrisponda un trattamento diverso. Insomma, che i clandestini italiani siano ricercati e puniti dalla legge con più occhiuta durezza che i “sans papiers” francesi. Ma non è così. Il ministro degli interni (e socialista) Valls si fa vanto, e acquista consensi, esibendo il numero, e qualche volta, anche la spettacolarità, delle espulsioni compiute; mentre nessuno dei suoi colleghi italiani – nemmeno Maroni, specialista delle narrazioni più truculente e catastrofiche in materia- è stato in grado di cavalcare concretamente questa linea (o anche solo di salirvi sopra).
E però il tema della clandestinità e della sua criminalizzazione rimane la chiave del discorso leghista, sino a dominare, apparentemente senza alcun reale contraddittorio, le stesse rappresentazioni ufficiali. Così abbiamo sentito commentatori televisivi e giudici siciliani imputare il reato ai profughi di Lampedusa quando erano ancora a bordo delle carrette del mare, in attesa di essere soccorsi o di affogare. Quando si trattava di profughi disperati in attesa del riconoscimento del diritto di asilo. E con il medesimo fiato con cui esprimevamo una imprecisata vergogna e una (magari sincera) commozione per la sorte loro riservata.
A questo punto, sarebbe logico pensare che l’orrore, diciamo così ideologico, per la clandestinità abbia spinto i nostri governi in generale, e quelli di centro-destra in particolare, a combatterla con ogni mezzo. Da una parte facilitando in ogni possibile modo la fuoruscita dalla medesima (e magari anche la “non entrata”); dall’altra espellendo rapidamente dal nostro paese i praticanti incalliti di questo grave reato.
In realtà il “combinato disposto” delle leggi e della prassi amministrativa va nel senso esattamente opposto. Abbiamo una “Bossi-Fini” che è assolutamente criminogena: perché spinge oggettivamente – con la sua voluta e insensata rigidità – verso l’entrata degli immigrati in una situazione di clandestinità, mentre non apre nessuna via per uscirne (l’ultima è stata la sanatoria di qualche anno fa, aperta peraltro alle/ai badanti e non ai lavoratori industriali e agricoli). Abbiamo, per altro verso, dei meccanismi sanzionatori (dalle pene pecuniarie alle espulsioni) praticamente inapplicabili, ma non per questo meno punitivi (vedi la permanenza in quelle vere e proprie vergogne nazionali che sono i Cie). E, allora viene naturale pensare che l’obiettivo vero di questi custodi della legalità sia quello di far crescere la clandestinità in linea di fatto per specularci più facilmente sopra in linea di principio.