A commento della scandalosa sentenza emessa ieri dalla III Corte d’Assise di Roma sul caso di Stefano Cucchi pubblichiamo di seguito il testo dell’appello che il 24 marzo del 2010 rivolgemmo a Emma Bonino e a Renata Polverini, allora candidate alla guida della Regione Lazio.
Con le stesse identiche parole ora ci rivolgiamo a Nicola Zingaretti, convinti come siamo che, al di là di sanzioni penali di dubbia effettività, sia necessaria innanzitutto una sanzione civile da parte del potere democratico.
Il 24 marzo il direttore e numerosi collaboratori di Mondoperaio, scandalizzati per la incredibile vicenda di Stefano Cucchi, che è proseguita oltre la morte con l’inumazione semiclandestina dei suoi resti, hanno rivolto ad Emma Bonino ed a Renata Polverini l’appello che segue:
“Sandro Pertini non fu solo un amato Presidente della Repubblica, un coraggioso combattente antifascista, un integerrimo leader socialista. Fu anche, per molti anni, un detenuto. Se non altro per questo egli non merita che il suo nome venga in qualsiasi modo avvicinato a quello di un ospedale in cui un altro detenuto, Stefano Cucchi, è stato lasciato morire di fame e di sete.
Perciò, alla vigilia delle elezioni che decideranno chi di voi due guiderà la Regione Lazio ed il suo sistema sanitario, chiediamo ad entrambe di assumere l’impegno di cambiare subito nome a quell’ospedale. Con l’augurio che anche questo gesto simbolico valga ad accelerare i tempi della doverosa punizione sia degli ancora ignoti esecutori materiali di quel delitto, sia soprattutto di quanti, che invece ignoti non sono, di esso portano la responsabilità oggettiva in seno all’Arma dei Carabinieri, al Corpo degli agenti di custodia, alla magistratura, alle strutture sanitarie.”
L’appello è firmato da Luigi Covatta, Gennaro Acquaviva, Paolo Allegrezza, Giovanni Bechelloni, Alberto Benzoni, Roberto Biscardini, Daniela Brancati, Luciano Cafagna, Dario Alberto Caprio, Frank Cimini, Simona Colarizi, Carlo Correr, Biagio de Giovanni, Nicola Del Corno, Danilo Di Matteo, Alessandro Di Nucci, Marcello Fedele, Federico Fornaro, Marco Gervasoni, Corrado Ocone, Bruno Pellegrino, Cesare Pinelli, Carmine Pinto, Paolo Pombeni, Giorgio Rebuffa, Mario Ricciardi, Stefano Rolando, Gianfranco Sabattini, Giulio Sapelli, Giovanni Scirocco, Carlo Sorrentino.
Di seguito pubblichiamo la lettera che il direttore di Mondoperaio Luigi Covatta ha inviato a Il Giornale a commento dell’articolo di oggi di Stefano Zurlo che tra le altre cose citava il nostro appello.
Caro Direttore,
sul Giornale di oggi, commentando le reazioni alla sentenza sul caso Cucchi, Stefano Zurlo deplora, fra l’altro, che “dalle pagine di una rivista gloriosa come Mondoperaio” si chieda “il cambio del nome dell’ospedale in cui sarebbe avvenuto lo scempio”. Ringrazio per il “gloriosa” a nome della testata. Osservo che all’ospedale Pertini (è l’unica certezza) lo scempio è effettivamente avvenuto, per cui mi sembra improprio l’uso del condizionale. Ma soprattutto rifiuto di essere accomunato ai garantisti “pelosi” di cui si occupa Zurlo. La rivista che ora dirigo non appartiene nè alla sinistra “che acetta solo i verdetti anti Cav”, nè alla destra che coi vari “pacchetti sicurezza” ha riempito le carceri di immigrati e tossicodipendenti. Cerca invece (vox clamantis in deserto) di essere coerente con la propria tradizione garantista, e di tenere alta la guardia contro l’invadenza del potere giudiziario.
Quanto al nome dell’ospedale, allego il testo dell’appello che rivolgemmo il 23 marzo 2010 alle due candidate alla presidenza della giunta regionale del Lazio, e che ieri mi è sembrato il modo più appropriato per commentare una sentenza che continuo a considerare scandalosa, e che comunque è stata condizionata da un’istruttoria quanto meno parziale.
Cordialmente
Luigi Covatta, direttore di Mondoperaio
Debbo dire da socialista che il modo sommario con cui avete scritto l’appello a cambiare nome al Pertini è sconvolgente.
Alla fine degli anni ottanta, insieme ad altri socialisti della sanità, proposi di intitolare l’ospedale a Pertini e ne sono ancora fiero.
L’Ospedale Pertini ha 440 letti, ha fatto centinaia di migliaia di ricoveri medici e chirurgici e milioni di prestazioni ambulatoriali polispecialistiche e quotidianamente
piuttosto bene un bacino di popolazione vastissimo che lo utilizza con fiducia e ciò
è visibile in tutte le ore del giorno e della notte, avendo anche uno dei primi tre pronti soccorso del Lazio.
Vi lavorano alcune centinaia tra medici, farmacisti, biologi, chimici e numerose centinaia di ottimi infermieri e tecnici sanitari: tutta gente che fa con diligenza ed impegno spesso gravoso il proprio dovere nei confronti dei cittadini.
Il fatto che sulla corsia sinistra dell’ingresso il Ministero di Giustizia vi abbia costruito un padiglione fatto malissimo sotto il profilo assistenziale, destinato inoltre a malati di elezione e non acuti, non autorizza nessuno ad assimilare tale piccola struttura al Pertini in quanto tale che svolge al meglio la sua importantissima ed insostituibile funzione.
E’ appena il caso di far notare che gettare malamente discredito su un intero Ospedale per una vicenda di altro tipo costituisce un danno gravissimo per la cittadinanza che potrebbe ricavare dal tono e dai contenuti del vostro appello la sensazione che il Pertini sia popolato di potenziali assassini, invece che di degni professionisti.
Oggi l’articolo che riportava il vostro appello era nelle mani di tanti operatori che, sapendo che sono un vecchio socialista, me lo hanno mostrato con sdegno.
Non vi pare, alla luce di queste brevi e serene considerazioni, opportuno
chiarire che sulla richiesta di cambiare nome all’Ospedale Sandro Pertini avete fatto
un grossolano errore ?
Un caro saluto
E un po’ di indignazione per quello che è successo al povero Cucchi? Pertini, probabilmente, la avrebbe manifestata. Ed avrebbe preso le distanze da quel “padiglione fatto malissimo” e dagli indegni professionisti che in esso hanno operato.
Preso atto delle decisioni della magistratura sul “caso Cucchi”, senza voler entrare nel merito dell’azione giudiziaria, alla luce di quanto accaduto e delle eco mediatiche della stampa e della televisione, ci sentiamo in dovere di fare alcune riflessioni, dal momento che l’opinione pubblica sembra aver individuato nell’operato dei medici responsabilità ben maggiori di quelle finora riconosciute.
Non è degno di un paese civile il linciaggio morale mediatico cui sono stati e sono tuttora esposti colleghi di riconosciuto valore professionale ed onesta condotta morale.
Non è lecito estendere le valutazioni processuali all’intero corpo sanitario ospedaliero ed all’intera classe medica come riportato in alcune dichiarazioni di esponenti politici.
E’ finora emersa soltanto la preoccupazione di manifestare solidarietà ai familiari di Stefano Cucchi senza concedere la minima attenzione alla delicatezza della gestione clinica di casi così complessi, in cui le cure devono essere erogate contro la volontà di un paziente detenuto, capace di intendere e di volere.
Non è possibile tacere sulle inopportune ed infamanti valutazioni morali espresse a mezzo stampa dai familiari di Stefano Cucchi nei confronti dei medici, che non appiano in alcun modo giustificabili dalla pur comprensibile manifestazione del proprio dolore.
Il “caso Cucchi” è ancora una volta emblematico dell’acredine con cui l’opinione pubblica accosta il rapporto medico-paziente in Italia, addebitando ai medici tutte le responsabilità di un servizio sanitario pubblico che difetta nei modelli organizzativi generali e nella assegnazione di idonee risorse.
Per questi motivi l’Intersindacale Medica dell’Azienda ASL RMB dichiara lo stato di agitazione e proclama una Assemblea Generale che si terrà presso l’Aula Magna dell’Ospedale Sandro Pertini il giorno 11 giugno alle ore 12.30 per valutare le successive iniziative di lotta da intraprendere.
C’è qualche “Intersindacale” in grado di stabilire perchè a Stefano Cucchi, mentre stava all’ospedale Pertini, è stato negato il diritto di vedere i familiari e un avvocato? So bene che non spettava al personale sanitario concederglielo, ma che cosa hanno fatto medici e infermieri perchè gli venisse concesso da chi aveva l’autorità per farlo, evitando così che il detenuto cominciasse lo sciopero della fame? Esistono i doveri professionali, ma esistono anche e soprattutto i doveri civici. Senza dire che “la delicatezza della gestione clinica di casi così complessi” comporterebbe anche dal punto di vista professionale il dovere di prevenire eventuali scelte autolesionistiche del detenuto-paziente. Mi piacerebbe sapere se alla assemblea della “Interesindacale” si è parlato anche di questo, o se invece ci si è limitati a protestare per i tagli alla sanità pubblica.