Nell’editoriale dell’ultimo numero della rivista ci auguravamo di non doverci affidare alla generosità di Napolitano per sbrogliare la matassa della sua successione. Non perché la sua rielezione non fosse auspicabile (e del resto da noi auspicata in epoca non sospetta). Perché non era auspicabile il modo in cui si è verificata. Ma tant’è, e sarebbe curioso che ce ne stupissimo proprio noi, che da anni denunciamo la scarsa rappresentatività del sistema politico della seconda Repubblica.
Questo sistema, adesso, si è arreso: non, fortunatamente, agli arruffapopoli che irresponsabilmente eccitano le piazze, ma all’unica autorità che, nella tempesta della crisi, ha incarnato la sovranità nazionale. Ora è tempo di voltare pagina, se non vogliamo che a seppellirci sia la risata di un cabarettista. E può darsi che misurandosi col principio di realtà al quale Napolitano non si è stancato di richiamarlo in questi anni – ed al quale, presumibilmente, lo richiamerà ancora domani nel discorso di insediamento – il sistema politico esca dalla realtà virtuale in cui si è baloccato troppo a lungo. Buon lavoro, Presidente.