Il bipolarismo è stato, ed è rimasto, il mantra della seconda repubblica. Come fonte del rinnovamento della politica e dei suoi costumi. Rappresentanti del popolo necessariamente virtuosi perché scelti, anzi selezionati, dai cittadini. I cittadini stessi felici ed appagati di andare a letto, il lunedì sera, sapendo il nome del nuovo presidente del consiglio e magari anche quello dei componenti del governo. Tra un’elezione e l’altra una maggioranza operosa nel realizzare, punto per punto, gli impegni in base ai quali è stata eletta. E una minoranza altrettanto operosa nell’elaborare, a futura memoria, proposte diverse ma non alternative. Perché i nostri due antagonisti sono, o sono destinati immancabilmente a diventare “europei”. Un aggettivo che è garanzia, quanto meno, di serietà e di moderazione. Perché gli antagonisti saranno rispettosi delle idee e delle persone dell’Altro (raccomandata, a questo riguardo, la formula veltroniana del “rappresentante dello schieramento a noi avverso”).
Ma le cose non sono andate come previsto. Non siamo diventati europei, anche se stiamo studiando. Abbiamo continuato a premiare il “politicamente scorretto”. E, quel che più conta, Berlusconi non ha imparato a governare, e il Pd non sa vincere una elezione che è una. E allora, il bipolarismo è stato sospeso a furor di popolo e di Colle. E abbiamo avuto Monti e le larghe intese; cioè il commissariamento a tempo determinato del nostro sistema politico.
Sul determinato, poi, non saremmo tanto sicuri. Perché i due partiti, come i nobili esiliati a Coblenza, non sembrano avere imparato e dimenticato nulla. Perché non si vede la ragione per cui i partiti ex antagonisti, dopo avere lavorato insieme per cambiare l’Italia, dovrebbero dividersi sul resto.
E allora il commissariamento andrebbe regolamentato da subito: magari introducendo la figura dei vicecommissari.
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