Pubblichiamo di seguito tre articoli  sull’avvicendamento di Matteo Renzi al governo

Renzi, Marramao e il reincantamento della politica
di Danilo Di Matteo

Mentre scrivo non conosco l’esito del confronto fra Matteo Renzi ed Enrico Letta, e non è di ciò che voglio ora occuparmi. Già nel documento congressuale del sindaco notavo la propensione a considerare la società semplicemente vittima della cattiva politica. E in ciò scorgevo un limite. Basti considerare le radici e la complessità del fenomeno corruzione, come confermato da dati recenti.
Tempo addietro poi, in un editoriale sull’Avanti! online, il direttore Mauro Del Bue, commentando il parallelo proposto da alcuni osservatori fra il “decisionismo” di Bettino Craxi e quello di Renzi, sottolineava la tendenza di quest’ultimo ad assecondare i sondaggi, e più in generale gli umori del momento. Un apparente paradosso per il segretario dem, che propone di “cambiare verso” al paese.
Tutto ciò rafforza il mio convincimento riguardo alla giustezza dell’indicazione del filosofo Giacomo Marramao: il reincantamento della politica. Rabbia, delusione e disincanto ci fanno pericolosamente avvitare in una sorta di circolo vizioso. E la passione politica non può ridursi ai “mi piace” e alle frasi indignate sul web.
Sembra un discorso utopico, questo, eppure occorrerebbe davvero mutare rotta e sfidare l’orientamento prevalente: un modo diverso di fare politica, un’altre classe dirigente non proverranno da Marte. Potranno solo essere l’espressione di una riscoperta della politica, proprio in un momento di gravi difficoltà come l’attuale.
Insomma: pur in una società frammentata e “individualizzata”, dovremmo sentirci corresponsabili della nostra sorte e impegnarci in un confronto pubblico vivo.


La staffetta
di
Giuseppe Lombardo

Enrico lo aveva giurato: con Matteo non avrò problemi, prevarrà il buon senso toscano. E il primo cittadino fiorentino gli era andato incontro a braccia aperte: premier subito? Ma non scherziamo. Eppure qualcosa si è rotto nel magico cerchio del Partito democratico: ancora una volta la composizione alchemica d’interessi così eterogenei ha generato una frattura.
Polito ha giustamente ricordato come la Dc garantisse una certa continuità istituzionale, una rodata vocazione governativa, a dispetto delle scorribande interne e nonostante la presenza di squali e squaletti d’acqua dolce. Nel Pd è vero il contrario: ogni battesimo elettorale si conclude con un de profundis. Veltroni vince la girandola delle primarie e Prodi è costretto a lasciare Palazzo Chigi; Renzi diventa l’azionista di maggioranza del governo e l’esecutivo Letta si squaglia come neve al sole. Promesse future prendono il sopravvento sulle certezze del presente, con tutto ciò che ne consegue sul piano della stabilità e della credibilità di fronte all’opinione pubblica.
Si pescano dal trapassato inedite formule tattiche, spregiudicate pietanze d’annata – nate male e cresciute peggio – vengono servite a dispetto di un odore acre e pungente. Si parla di staffetta e con perentoria stupidità si cita l’esempio craxiano, la famigerata faida con De Mita. Altri tempi, indubbiamente, ma a ben guardare anche allora il campionario strategico partorì qualcosa di fallimentare: il governo Craxi, entrato in carica il 4 agosto 1983, cedette il passo il 17 aprile 1987. Ne venne fuori il Fanfani VI: tre mesi di grigiume diccì prima del tracollo della coalizione fra le macerie della legislatura.
Non so se questo sia l’auspicio di Renzi e francamente nemmeno me ne curo. Il segretario del principale partito della sinistra italiana aveva dinanzi a sé una straordinaria possibilità: esercitare immediatamente un’indebita pressione su un governo cui non legava le sue sorti, costruendo parimenti un’alternativa rigorosa al folklore populistico in voga in Transatlantico: un’alternativa basata su un liberalismo sociale serio, sul dialogo fitto con associazioni e movimenti d’area, per riscoprire il patrimonio di una perduta identità riformista. Avremo invece una strampalata coalizione pseudo-costituente, un’allegra ammucchiata con democratici, forzisti, alfaniani, montiani, vendoliani e leghisti, coinvolti tutti a vario livello. Più che una proposta plausibile, sembra ad occhio e croce un casino improbabile.

 

 Ma Renzi non lo sa…
di Paolo Raffone

La decisione della Corte di Karlsruhe di deferire alla giustizia europea il controverso caso di un ricorso sull’ammissibilità del programma OMT (Outright Monetary Transactions) della Banca Centrale Europea (BCE) approvato dalla stessa nell’agosto 2012, non deve confondere. Il programma OMT nasce come meccanismo autonomo della BCE per l’acquisto illimitato di obbligazioni sovrane, cioè degli Stati, sul mercato secondario, se un governo ne faccia richiesta. L’OMT è quindi un “bazooka” della BCE per ‘ammazzare’ gli speculatori, ma non è un meccanismo per iniettare liquidità nel mercato. L’OMT è stato adottato senza unanimità dei membri del Consiglio della BCE, anzi con l’espresso voto contrario dell’allora presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e dell’allora ministro tedesco dell’economia Philipp Roesler, che erano preoccupati della possibilità che “l’aiuto fosse fornito senza precise garanzie in merito alle riforme strutturali del paese che le richiedesse”. Esso si aggiunge ai programmi stabiliti da specifici trattati di diritto internazionale equiparati al diritto europeo che hanno creato i meccanismi European Stability Mechanism (ESM) e European Financial Stability Facility (EFSF) che sono specificatamente soggetti a condizionalità, cioè all’intervento della Troika.
La decisione della Corte tedesca deve essere visto come un modo per riconoscere l’ammissibilità del ricorso ma allo stesso tempo, per motivi politici legati all’imminenza delle elezioni europee, di mantenere in un limbo l’OMT fino a quando la giustizia europea non si sarà pronunciata. Quindi significa per circa un anno e mezzo. Ed in ogni caso sarà possibile fare appello alla decisione.
Con questa mossa la Germania ha mostrato che riconosce la superiorità dell’UE, solo per la parte giurisdizionale, e che finché vorrà riuscirà a bloccare l’uso dell’OMT. Non c’è che dire, bravo Deutchland!
I problemi saranno per i governi che dovessero trovarsi in difficoltà con i titoli di debito. Dovranno sottoporsi alle ‘cure’ della Troika, unico strumento utilizzabile. Forse le ‘ambizioni’ di Renzi dovrebbero essere più misurate!
Il fatto che i mercati finora non hanno reagito alzando lo spread sui titoli di debito dei periferici potrebbe essere interpretato come atto speculativo, sapendo che poi al momento dato potranno far man bassa nei paesi in difficoltà. Inoltre, la ‘non-decisione’ sull’OMT è un chiaro segnale di sfiducia per il presidente della BCE, Mario Draghi.
Una cosa è certa, i mercati finanziari viaggiano su canali e velocità diverse dalla politica. Sarebbe interessante capire se tra i sostenitori di Renzi primo ministro e di Prodi presidente della Repubblica, piuttosto che le combriccole squattrinate nazionali non vi siano proprio quei poteri davvero ‘forti’ che sono i mercati finanziari anglo-americani. Se così fosse si dovrebbe inserire questo ‘complotto’ nel quadro più ampio dei dissapori tra USA e Germania, anche in merito di politiche di rilancio dell’economia. Mentre alacremente si firmano capitoli del documento TTIP (Transatlantic Trade and Investement Partnership) sia a livello (segreto) della UE sia a livelli nazionali, il presidente Obama in visita in Europa a fine marzo ha bisogno di tornare a casa con qualcosa di concreto. Oltre alle firme per il trattato di libero scambio, quel che interessa di più è il consolidamento dei valori borsistici dell’Euronext nel quadro dell’acquisizione di ICE su NYSE-Euronext avvenuta alcuni mesi fa. Londra, o meglio la LSE, ha interesse a che la cosa passi in modo da recuperare tutto il mercato europeo dei derivati che gli americani dell’ICE sono pronti a scaricare sul mercato. Quindi, la favoletta sull’OMT non è null’altro che una ‘trappola’ per facilitare il passaggio di mano dei valori che ICE e LSE vogliono acquisire al minor costo possibile.
Tutto questo con buona pace del dibattito sconsolante in seno al PD e al governo italiano. Resta da chiarire quale sia stato e qual è il ruolo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in questa faccenda. Certo è che se un peso massimo del giornalismo anglo-americano, Alain Friedman, è intervenuto proprio in questi giorni negli affari italiani non è casuale. Elkann e Marchionne lo avevano già capito e così prudentemente hanno deciso di migrare in ‘giurisdizioni’ più favorevoli ai loro interessi, con buona pace della CGIL, della FIOM, del PD e del governo italiano.
Un dubbio mi perseguita. Ma Matteo Renzi ha una benché minima idea di quel che sta facendo? Invece sono quasi certo che il maltrattato Enrico Letta si sia già amaramente pentito di aver dichiarato la sua contrarietà, qualche giorno fa, alla creazione della ‘bad bank’ (una banca nera) come era stato richiesto dai poteri forti di Londra. Una svista o un errore patriottico? Ah, saperlo!