Anni fa, una signora scrisse al cardinal Martini per fargli questa domanda: “in cielo potrò rivedere mio marito”?
Cosa rispose il cardinale, non me lo ricordo; anche se me lo posso immaginare. Parole di fede, di speranza e di carità, certo; ma nessuna asscurazione (dopo tutto la scommessa di Pascal ha un senso solo se si affida al mistero  e all’inconoscibile; niente titoli sicuri e niente Bot).
Chi fosse la signora  non posso saperlo; anche se me lo posso immaginare. Una donna sola ma piena di umanità e, soprattutto di fede.
Cosa disse esattamente, nel definire l’al di là, non lo so esattamente. Ma so, anzi sento con assoluta certezza che quel mondo altro non rientrava nei canoni tradizionali dei secoli passati: il Paradiso con la contemplazione totalizzante di Dio, l’iInferno ad arrostire per l’eternità, il Purgatorio come una specie di sala d’attesa per quelli non bollati da peccati mortali. Il tutto giocato nel rapprto tra il singolo uomo e il suo Giudice.
La signora gentile questo lo sentiva. Non voleva, non poteva, salvarsi da sola. Voleva il marito e con lui altri esseri umani, accanto a sè. Voleva un altro mondo che desse un senso alla sua esistenza terrena: in cui le parole non dette potessero essere dette, le offese riparate e le ingiustizie sanate, gli ultimi ad essere primi, e il significato profondo delle parole e delle cose ad essere svelato. Pensava, anzi, cosa assai più importante, sentiva nel cuore che il Dio personale ( l’unico possibile) era tale perchè voleva la salvezza di tutti
“Potrò rivedere mio marito, mio figlio, gli amici al bar”? Una domanda terra terra, certamente. Ma è anche una domanda terribile e meravigliosa; perchè contiene in sè l’angoscia e la speranza che riempiono la nostra esistenza umana.
E qui non possiamo non riconoscere l’infinita sapienza consolatrice della religione cattolica e della sua (come dicono gli storici) “invenzione del Purgatorio”. Non più sala d’attesa in cui tutti stanno fermi e zitti in attesa che esca il loro numeretto. Ma piuttosto un luogo dove si realizza la catarsi, individuale e collettiva, un luogo d’incontro e di dialogo. E in cui i vivi e i morti si aiutano a vicenda, magari attraverso l’uso, certo riprovevole, delle indulgenze e delle raccomandazioni.
Una riproduzione corretta della nostra condizione umana, si dirà. Certo; ma questo non fa che accrescere il valore di quest’ultima.
Niente predestinati: individuabili come quelli che sono titolari della verità, del bene o, più semplicemente, del successo; per non dire di un rapporto diretto e privilegiato con la divinità. Ma anche niente dannati: la salvezza è a portata di tutti, con la fede e con le opere e perchè no, con le opportune raccomandazioni di questo o quel santo patrono, sino al soccorso senza limiti della Vergine Maria. E, ancora, niente misura della sorte futura sulla base di quella attuale. Forse il ricco non dovrà passare attraverso la cruna di un ago; ma certamente, tutti gli offesi di questo mondo portano in sè il messaggio della salvezza.
Non sto parlando di dottrina. Nè sarei in grado di farlo. Sto parlando di religione al quotidiano. Quello che vede nel Purgatorio come uno dei luoghi deputati del perdono e della salvezza per tutta l’umanità. Quella scommessa del cuore, che, tra l’altro, ci fa vedere tutti gli uomini come nostri fratelli e che ci intima di non uccidere.
Nessuno, naturalmente, ha il monopolio della lotta per un mondo migliore. Nè delle virtù individuali e collettive. Ma il rifiuto della violenza e il sentimento di fratellanza universale  o sono radicati nel profondo di una fede collettiva o rischiano di  di soccombere di fronte alla realtà.