di Riccardo Nencini
Dove sono le brave persone quando accadono cose brutte?
(George Orwell)
La tempesta perfetta: tuttavia la scienza ha gli strumenti per sconfiggere il morbo. La domanda che ciascuno si fa non è se, ma quando. Quanto durerà ancora? Vanno distinte due ipotesi. Rosa: pandemia sconfitta entro l’estate. Grigia: pandemia sconfitta in tempi più lunghi (entro l’inverno). Nel primo caso, difficile immaginare cambiamenti strutturali; nel secondo non vanno escluse fratture tali da provocare detonazioni economiche e sociali e una rivoluzione nei costumi. Io ritengo più realistica la seconda ipotesi.
Le bizzarrie della storia. Cancellato il fine ultraterreno indicato dal cristianesimo, la società laicizzata ha avuto comunque bisogno di un fine su cui costruire il percorso della storia. Il fine è diventato il progresso, lineare e immancabile, come suggerito dall’Illuminismo. E invece la storia non conosce percorsi lineari. Sembra fatta da un burlone, ti sorprende con cambi di rotta quando meno te l’aspetti. Proprio oggi ne abbiamo la prova (tra i pochissimi a ritenere possibile una pandemia Bill Gates, cinque anni fa).
Occidente. La civiltà occidentale si fonda su pilastri che dal ‘500 in poi ha raffinato: proprietà privata, spirito competitivo, medicina e rivoluzione scientifica, istituzioni democratiche, valorizzazione della libertà, etica del lavoro, società dei consumi. Se il tempo della pandemia dovesse protrarsi – e qualora non fossero adottate misure efficaci immediate, ancorché non risolutive – gli ultimi quattro pilastri entrerebbero in sofferenza con effetti pesanti per la comunità internazionale.
La crisi dentro la crisi. Le guerre globali (prima e seconda guerra mondiale) hanno generato nell’immediato grossi problemi sia per i vinti che per i vincitori. In Germania, alla fine del 1943, girava una battuta del genere: “Godiamoci la guerra perché la pace sarà terribile”. E però anche uno studio svolto nel 1946 da un gruppo di psicologi inglesi evidenziava come i profughi, anziché essere felici per aver riconquistato la libertà, erano amareggiati e non c’era nessuna gratitudine per i liberatori. Molti immaginavano un ritorno al passato e invece trovarono povertà e macerie. Il lungo periodo di inattività vide distrutte le loro speranze: e in molti si diedero all’alcool, conobbero la depressione. Solo gli Stati Uniti uscirono rafforzati dal conflitto. La guerra non aveva devastato le loro città: un numero di morti minore dei caduti sovietici nell’assedio di Leningrado, Pil raddoppiato tra il 1940 e il 1945. C’è di più. Le crisi profonde atterriscono, provocano insicurezza, inquietudine. Si cerca rifugio nell’identità di gruppo e nel risolutore magico. Religione e nazionalismo diventano un riparo sicuro per molti. Domando: la crisi economica che si aprirà ai margini dell’emergenza sanitaria produrrà gli stessi effetti su un corpo sociale già provato e in piena stagnazione economica, senza un governo autorevole privo di leader riconosciuti ? Del tutto probabile. E però, diversamente dal primo dopoguerra, alla fine degli anni ’40 del Novecento aiuti internazionali e intervento pubblico nell’economia furono consistenti, tali da generare il miracolo economico occidentale. Dalla crisi del 2008 il supporto monetario alle economie è stato ingente: ora dovrà essere ampliato. Domando: sarà sufficiente o siamo andati oltre i limiti (mai visti tassi così negativi)? Molto dipenderà dalle leadership (politiche e non) a livello planetario, e non è detto siano quelle che conosciamo. E’ un campo in cui l’Italia non gode di buona salute.
Uno e solo uno. All’indomani della prima guerra mondiale in molti paesi la risposta al default economico e all’ imbarbarimento sociale fu il ricorso all’uomo solo al comando. Fenomeno simile avvenne anche nella Grecia del IV secolo a.c., quando la democrazia ateniese soffrì di crisi economica, politica e militare. Isocrate, campione della democrazia, inneggia a Filippo di Macedonia; Platone attacca la democrazia e immagina “un uomo di grande saggezza” alla guida di Atene. Domando: la ricerca dell’uomo forte uscirà rafforzata dall’emergenza? Si ripeteranno forme di accentuato sovranismo? Di nuovo probabile: tuttavia crescerà parimenti il desiderio di avvalersi di competenze adeguate.
La riscoperta dello Stato. Dal fastidio per comportamenti ritenuti intrusivi alla richiesta di interventi decisivi. Lo Stato come coperta di Linus. Domando: intento durevole o legato all’emergenza? Temo che l’insofferenza, se la crisi fosse di breve durata, sarebbe destinata a ripresentarsi.
In guerra. Napoleone sosteneva che la guerra è veicolo di civiltà. Vero. Per vincere le guerre si sperimentano nuovi mezzi, medicina e farmacologia si sviluppano, e così la meccanica, la fisica, si moltiplicano le scoperte scientifiche. Si raffina la logistica, si sperimentano nuove regole organizzative. Anche in questa situazione si sperimentano, spesso in forme embrionali, tecnologie che potranno tornare utili in futuro (telestudio, economia on demand, telelavoro), destinate comunque a ribaltare usi consolidati, come e più del fordismo un secolo fa.
La paura. I nostri avi erano più preparati a soffrire. Profondamente cristiani, legati alla terra, giudicavano le sciagure e la morte parti inscindibili dell’esistenza umana. Domando: oggi è così? No. Presto finiremo vittime dell’oblio, sopraffatti dallo spirito di sopravvivenza. Lo ha scritto da par suo la psicoanalista Simona Argentieri: “I veri cambiamenti prevedono la trasformazione della nostra struttura psicologica da costruire in tempo di pace. Solidarietà, amore, rispetto non sono il frutto espiatorio della colpa”. Se è vero che le crisi creano anche opportunità, se non altro per far crescere nuove e buone abitudini, questa crisi, se non sarà abbastanza lunga e grave, ti farà mantenere il proposito di leggere stabilmente un libro, di parlare stabilmente coi tuoi figli, di offrire solidarietà non solo per un attimo della tua vita? No, torneremo presto alle nostre vecchie abitudini. Solo la durata temporale e un impatto radicale sul nostro sistema di vita potranno farci modificare la nostra visione. Il dolore più della felicità, come recita la Bibbia.
Al rallentatore, senza strabismo. Quattro secoli dopo, abbiamo applicato alla lettera il racconto manzoniano sulla peste: diffidenza per i medici che avevano intuito l’entità e l’ampiezza del virus (chi più chi meno, misure assunte in ritardo); ricorso a interpretazioni fantasiose (allora gli astri, l’untore alemanno, oggi il virus prodotto in laboratorio, manovre economiche…); infine richiesta di aiuto (allora processioni e preghiere, oggi, con ritardo, i respiratori, le mascherine, i tamponi estesi a fette di popolazione, la chiusura totale). Il terrore è esploso di faccia all’evidenza che il virus è ignoto, dunque lesivo delle nostre certezze. La paura cresce perché non si sa quanto durerà e perché si temono pesanti conseguenze nel futuro immediato.
Europa. Lo scivolone consenziente di Christine Madeleine Odette Lagarde e soprattutto la diffusione del virus hanno impresso una prima accelerazione alla svolta europea: sospeso il patto di stabilità, apertura del portafoglio. Ma la strategia richiede di più, molto di più. E invece si registrano segnali nient’affatto positivi. Servirebbero pionieri audaci, proprio come nel 1947/8 e anni a seguire. Allora ci furono un piano e la forza per renderlo operativo. E oggi? La Cina, madre del primo focolaio del coronavirus, potrebbe addirittura uscire più forte dalla pandemia. Il governo centrale ha retto, il virus è stato isolato e forse sconfitto, le borse asiatiche sono in ripresa, diversi paesi europei si avvalgono di aiuti cinesi, materiali e scientifici. Resta da vedere l’impatto dell’emergenza sulla campagna elettorale negli Usa e sulla presidenza Trump (troppo presto per una valutazione più puntuale). Le lancette della geopolitica indicano comunque bipolarismo Cina/Usa. L’Europa un’opportunità ce l’avrebbe: utilizzare la crisi per un balzo in avanti, ora che l’Inghilterra ha preso la sua strada. Balzo in che direzione? Stati Uniti d’Europa da preparare attraverso eurobond, politiche di investimento e di ricerca condivise, un’unica politica estera e di difesa. Un rovesciamento di campo del genere richiederebbe leaders straordinari – ma non ce ne sono – e una tendenza a trasformare definitivamente i confini in frontiere. Accadrà? Dubito. Va messo in conto un rigurgito di nazionalismo: temo prevalga la tendenza a isolarsi (pur essendo la nostra salvezza legata alla collaborazione scientifica ed economica). Temo si verifichi la previsione dello storico inglese Arthur Toynbee: un domani ancorato al declino quando i leaders non fanno fronte alle sfide. Ricordo infine che la crisi mondiale del 2008 e l’emergenza Ebola vennero battute grazie alla leadership statunitense (oltre che a massicci interventi della Bce). Oggi dove sono gli Stati Uniti? Dov’e’ un’alternativa?
L’Italia. Nell’ultimo secolo abbiamo conosciuto due crisi terribili figlie di due guerre. Ne siamo usciti in modi opposti. Nel primo dopoguerra affidandoci al Duce, nel secondo dopoguerra con governi di unità nazionale, da Parri al primo De Gasperi. Anche nel 1921/22 vi era chi auspicava governi di larghe intese (liberali, democratici, socialriformisti, sinistra cattolica). Turati venne sconfessato dai suoi, Don Sturzo trovò l’opposizione del Vaticano, tra i liberali Amendola fu isolato. La soluzione italiana per questo tempo è senza dubbio la seconda, l’unica in grado di tracciare una linea d’orizzonte: uscire dal cabotaggio quotidiano, tutti alla stanga, politica e corpi sociali, coinvolgimento dell’Italia migliore (scienziati, imprenditori, manager, intellettuali), un racconto di verità. L’obiettivo è uno “Stato umanizzato”, diversamente le differenze diventeranno fratture sociali insanabili.
Quando? È realistico immaginare una fuga dall’emergenza in tempi non troppo rapidi. Prossimo inverno? Il vaccino, se la scienza galoppa, non sarà disponibile se non alla fine dell’anno-inizio 2021. Il 2020, dal punto di vista economico, sarebbe perduto. L’economia vive di aspettative. Anche la felicità degli umani viene generata dalle aspettative. Per ora, vivendo al chiuso, sperimentiamo la via di fuga ideata da Boccaccio nel Decameron. Tutti cuochi, tutti lettori accaniti, ancora carichi di speranza. E tra un mese? Noi sommeremmo alla stagnazione esistente ulteriori drammatici problemi. Di più. Crollo della piccola impresa, botteghe artigianali, commercio al dettaglio, cancellazione coatta del nero (De Rita calcola in circa 3.500.000 gli italiani “al buio” comunque dotati di portafoglio). Nel medio-lungo periodo, anche con un’Europa benevola, diventerebbe impossibile reperire risorse per tutti se le attività non ripartono. Conseguenze: permanendo la chiusura totale, ribellione sociale da impoverimento, depressione per una vita rinchiusa in tre stanze. Tramonto della speranza, scarsa fiducia nella scienza, assenza di futuro. Nessuna generazione ha conosciuto mai un deserto del genere. È vero che la storia ha vissuto periodi altrettanto e più complicati: la peste del 1347/8 uccise un terzo della popolazione europea, la spagnola fece più morti della guerra (tra il 1918 e il 1920 quasi 50 milioni di morti, con prevalenza anziani, come oggi): ma c’erano profonde diversità con la società attuale. Intanto c’era una larga familiarità con la morte (la fede fungeva da ancora, era diffusa in ogni ceto la speranza nell’al di là); le differenze sociali erano nette, insuperabili, accettate; non esistevano protezioni sociali di sorta. Nonostante ciò in entrambi i casi si misero in moto cambiamenti radicali. Oggi non va affatto escluso che possano presto affermarsi forme di controllo e di vigilanza sociale più invasive delle attuali, tali da erodere spazi di democrazia. Se in queste ore facciamo uso della tecnologia per combattere il virus (controllo tramite cellulare, braccialetti elettronici etc. che dicono tutto di te, della tua salute, del tuo stato fisico, insomma disegnano la cornice della tua natura), chi garantisce che l’utilizzo sia circoscritto all’emergenza? Come può il cittadino mantenere il controllo sulla propria vita? Non è solo un problema di privacy. In gioco c’è molto di più. Conosceremo forme di sicurezza e di sorveglianza più stringenti e articolate (negli aeroporti, negli spazi pubblici, dai cinema ai teatri). La paura renderà i contatti meno frequenti col risultato che i rapporti umani ne risentiranno. Ergo: progressione ulteriore della rivoluzione digitale che produrrà fratture tra chi sarà in grado di governarla e gli esclusi. Una ragione in più per umanizzare lo Stato, per bandire l’isolamento e le teorie sconclusionate del fare da sè, per investire in uguaglianza, per ridefinire la cornice in cui dovrà celebrarsi la democrazia (si può ancora ritardare il voto ai sedicenni almeno nelle elezioni amministrative? Si può consentire alle aziende che gestiscono servizi primari per le famiglie di arricchirsi in modo spropositato? Si può stanziare per l’innovazione tecnologica, la scuola e la conoscenza solo una manciata di risorse?). Nelle fasi di passaggio i processi accelerano e la geografia dei poteri si ridisegna. O la politica anticipa i fenomeni o alla politica si sostituisce la lobby delle baronie. Il tempo delle decisioni è adesso. “Adesso” significa nel prossimo mese. A cominciare dalla risposta che ciascuno si aspetta circa il proprio futuro: salute e lavoro. Già ad aprile dovremo discutere se applicare o meno il modello “ad elastico” ipotizzato dall’Imperial College di Londra (flessibilità nella riapertura secondo le zone, parametri medici, etc…), verificare se l’Europa intenda o meno giocare la sua partita fuori dagli schemi tradizionali, capire quale sia la strategia di respiro dell’Italia per il suo domani (e se strategia vi sia). Colpo su colpo, perché tra gestione dell’emergenza e rivoluzione politico-economica non c’è nessuna differenza: coesistono.
Non basta l’ottimismo della volontà. Va costruito l’ottimismo della ragione. Proprio come quel medico e quei due ingegneri bresciani che trasformano le maschere da sub in respiratori.
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