Manca poco al 22 ottobre 2023, quindi a un anno di insediamento del Governo Meloni. Si parla in continuazione di “governo politico”, ma la gestione effettiva sembra basarsi sulla difesa di pochi punti fermi ereditati dai governi precedenti (politica estera, rispetto dei conti pubblici) cui si aggiungono la massima garanzia per le corporazioni e il possibile ritorno a condoni, mentre su altri la gestione oscilla vistosamente (politica europea, giustizia, immigrazione) e su altri ancora si nasconde o rinvia le decisioni (politiche sociali, PNRR).
Di inventiva politica se ne vede in ogni caso poca, e la stessa gestione è troppo contraddittoria per poterne ricavare una linea. Il che non vuol dire che il partito di maggioranza relativa perderà alle elezioni europee del prossimo giugno.
In Italia l’elettorato interessato al cambiamento è una minoranza. Bisogna anzitutto considerare quanti vivono in una condizione protetta, o dallo Stato e dagli altri enti pubblici, o dall’appartenenza a gruppi chiusi e tendenzialmente corporativi. In secondo luogo, non sono interessati al cambiamento quanti hanno perso o non hanno mai avuto il lavoro, e una parte dei (tantissimi) lavoratori precari. In questi casi il cambiamento spaventa persone che già stanno male, ma hanno perso ogni speranza nella capacità trasformativa della politica. Alla fine, per loro l’unica che vale è una politica delle mance, delle sovvenzioni una tantum, che infatti, per le politiche assistenziali, comincia in modo palese con la Social card di Giulio Tremonti venti anni fa e riprende con quella lanciata dal governo in carica. Anche nel dibattito sul salario minimo, la voce della Presidente del Consiglio si è sentita solo per l’insistenza sul “lavoro povero”, per far capire che solo lì bisogna intervenire. Può darsi che l’autunno sarà più caldo del solito anche per questa ragione, e che qui si giocherà conseguentemente un pezzo importante della partita in vista delle elezioni dell’anno prossimo. Ma la posizione del governo, CNEL o non CNEL, dovrebbe consistere nel rifiutare l’approccio universalistico che sta comunque dietro alle proposte di salario minimo, per appoggiare invece soluzioni diverse di compensazione del “lavoro povero”.
Questo modo di porre la questione riflette la dichiarata intenzione di Meloni di costruire un partito conservatore, spostando il meno possibile i complicati assetti che in Italia collegano i poteri pubblici alla società e ai vari gruppi sociali. Non solo nel campo del lavoro. Nessuno discute il Servizio sanitario nazionale e la scuola pubblica, ma l’uno e l’altra vengono fatti lentamente collassare col solito argomento che non ci sono le risorse. D’altra parte, salute e scuola sono anche i campi in cui l’interesse di tutti deve essere anche presente e fatto valere da tutti: il che avviene troppo poco, anche per storiche responsabilità dei partiti di sinistra e dei sindacati. Il nuovo partito conservatore non interviene, casomai troverà alleanze nella scuola e nella sanità privata. Ancora una volta, si sforza di tenere tutto quanto c’è (e si muove per proprio conto), assecondando quindi anche disfacimenti e rapine a seconda dei casi. È conservatore proprio alla lettera, perfino più dei suoi scalpitanti alleati.
Per il resto il partito conservatore pensa di poter avanti per default. Sentiamo e leggiamo spesso di un’opposizione quasi sempre afasica, di una UE irrigidita nelle sue procedure e bloccata fino alle elezioni, per non parlare dei suoi maggiori Stati membri, tutti alle prese con problemi interni anche maggiori dei nostri. Ma la narrazione del partito conservatore si avvantaggia pure di media che recitano copioni fissi privi di attrattiva per chiunque, come spiega Andrea Millefiorini su questo numero. Non a caso dei media in generale, e della stampa quotidiana soprattutto, si legge ancora molto poco. Tutti affezionati a fare semplicemente la loro parte: le tradizionali testate di destra o di sinistra, un Corriere che elogia o rimprovera il governo in base a un equilibrio astratto da ogni politica, un Foglio compiaciuto del suo eterodosso ottimismo.
Insomma, non sarà tanto da fuori che potranno venire sorprese per il partito conservatore. Potranno venire proprio dalla “pancia”. Da un rigetto della politica ancora più forte di quello che già abbiamo conosciuto negli ultimi anni, che potrebbe gonfiare il partito delle astensioni anche a scapito di chi dell’assenza di iniziativa politica sta facendo quasi un marchio di fabbrica.
Su questa rivista c’è bisogno di dire chi e cosa manca? Così come dovrebbe essere chiaro che le analisi, le denunce e le proposte che cerchiamo il più possibile di mettere insieme in tutti gli ambiti viaggiano nella direzione di un più che mai necessario riformismo socialista.
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