Simona Colarizi

 

Come  molti leader antifascisti, anche Nenni nel lungo periodo dell’esilio aveva intessuto contatti  internazionali destinati ad avere un peso non indifferente nella sua vicenda politica per tutti gli anni della Repubblica. Un peso ovviamente non proporzionale a quello del legame con Mosca che assicurava ai comunisti italiani il vantaggio-svantaggio di avere alle spalle l’URSS, la seconda super potenza mondiale. I socialisti europei infatti avevano un potere di condizionamento decisamente minore sugli equilibri tra i partiti in Italia, specie a partire dalla guerra fredda che imponeva anche sull’Europa un dominio bipolare terminato solo nel 1989 con il crollo del muro di Berlino. Tuttavia una lettura della biografia di Nenni sarebbe incompleta se non si prendesse in esame l’influenza del vincolo esterno europeo – in questo caso appunto l’Internazionale Socialista – in due fasi cruciali per la storia del socialismo italiano: la prima, dal 1945 al 1948, quando il PSIUP, forza maggioritaria della sinistra alle elezioni politiche per la Costituente, si lacerava con la scissione di Palazzo Barberini in due tronchi che sceglievano strade divergenti e contrapposte; la seconda, dal 1953 al 1962, quando il PSI rompeva il patto d’unità d’azione con il PCI e iniziava il percorso di avvicinamento al governo. In entrambi i casi,  la famiglia socialista, protagonista attiva di queste svolte, esercitava  un ruolo troppo spesso dimenticato nelle ricostruzioni storiche[1].

Nel 1945 il progetto di un’Europa socialista era il sogno dominante in tutti i partiti socialisti, compreso quello italiano. Si sposava alle tante speranze nutrite durante il conflitto sul destino di un’Europa unita dopo trent’anni di guerre. Superare le fratture tra gli Stati che si erano reciprocamente distrutti significava anche sanare la frattura che aveva spaccato il movimento operaio europeo fin dalla rivoluzione russa del 1917. A dare sostanza a queste aspirazioni concorreva il ruolo di governo che i partiti socialisti ricoprivano in ogni paese, sia nelle coalizioni di unità antifascista a Ovest come ad Est, sia in Gran Bretagna dove il Labour Party aveva assunto la guida dell’esecutivo. Raggiungere questa meta non appariva però facile in un continente ridotto in macerie e soprattutto in un panorama internazionale che presentava già molte nubi all’orizzonte. Lo dimostravano le asperità del percorso per la ricostruzione di una nuova organizzazione internazionale che riunisse la famiglia socialista, per natura, per storia, per ideali estremamente composita.  Il contesto specifico poi in cui si trovavano ad operare dopo il ’45 i singoli partiti, accentuava la distanza – e quindi le incomprensioni – tra i socialisti dei paesi dell’Est, su posizioni di sinistra, filocomuniste, e quelli del Nord-Ovest che avevano alle spalle più di mezzo secolo di riformismo e di lotte democratiche.

Quanto al PSIUP, il suo passato e i lunghi anni della dittatura fascista lo rendevano assai più simile a un partito polacco che non alla SFIO o al Labour Party, nei quali Nenni aveva però molti amici. Molte le cause: sul piano ideologico va sottolineato il ritardo del PSI nell’acquisire una identità socialista fondata sui valori di democrazia e libertà; sul piano politico prevaleva in Nenni  il timore quasi ossessivo di una rinascita fascista in Italia che lo portava a fare dell’unità della classe un vero e proprio imperativo categorico. Anche se i governi di unione antifascista erano ancora operanti, si percepiva in Italia come altrove, l’avvicinarsi della guerra fredda che spingeva Saragat a pretendere la rottura del legame con il PCI, difeso da Nenni fino al punto di sacrificare il suo stesso partito. La divisione consumata a Palazzo Barberini nel gennaio del 1947 lasciava interdetti i compagni europei, ma non lacerava ancora il dialogo che rimaneva intenso soprattutto con i laburisti, del resto assai severi nei confronti di Saragat.

Nelle riunioni del Council la responsabilità della rottura veniva attribuita al leader socialdemocratico, anche se  si era ben consapevoli delle pressioni esercitate da americani e sovietici rispettivamente sui socialdemocratici e sui socialisti di Nenni; pressioni che “si erano manifestate nel modo più concreto – leggasi finanziamenti – nelle settimane che hanno preceduto il Congresso”[2]. Tuttavia i socialisti internazionali giustificavano ancora la politica di unità d’azione con il PCI cui Nenni rimaneva fedele in armonia con lo spirito unitario dominante nella classe operaia . Saragat invece stava recidendo i legami con la classe, col risultato “di fare del PSI un partito menscevico”, ormai estraneo al marxismo e simile al neo socialismo francese di  Renoudel,  Marquet,  Deat[3]. Il Council poi sembrava persuaso dall’analisi che Nenni offriva della situazione italiana; un’analisi che evocava  lo spettro di un nuovo fascismo o quanto meno di una deriva conservatrice-autoritaria guidata dalla DC. Questa posizione veniva ribadita nel giugno 1947, quando ormai in tutto l’Occidente europeo si chiudeva la stagione dei governi di unità antifascista con l’uscita dei comunisti. Eppure, contrariamente a quanto avveniva altrove, il PSI abbandonava insieme al PCI la coalizione governativa.

                   L’Europa socialista

Ai suoi referenti internazionali Nenni giustificava questa scelta con le peculiarità della situazione politica in Italia, dove era in atto  un’involuzione autoritaria che i socialisti avevano il dovere di contrastare, convinti di ricevere tutto l’appoggio possibile dai compagni europei. Il passaggio all’opposizione insieme al PCI non significava un allineamento all’URSS; si iscriveva invece  nella cornice dell’Europa socialista che restava adesso come prima l’obiettivo cui tendeva Nenni. Non è facile stabilire se in quel momento le sue dichiarazioni fossero sincere; certo è che proprio questo progetto viene rievocato dieci anni dopo da Jacometti in un articolo su Mondo Operaio: “C’era in Europa un’aspettativa enorme. Il mondo si stava spaccando in due, ma non era ancora definitivamente spaccato. In Francia e in Italia la classe operaia propriamente detta tendeva verso l’Unione Sovietica, ma non tutta e non con molta decisione: un catalizzatore come sarebbe potuto essere l’azione laburista in Europa, avrebbe ancora potuto cambiare le cose”[4]. Del resto non è casuale che in quei mesi Denis Haeley si limitasse  a invitare accoratamente socialisti e socialdemocratici italiani a rinsaldare i loro legami e lanciasse la proposta di una conferenza tra i due partiti, presieduta da un socialista straniero per risolvere la controversia.

In effetti la direzione del socialismo europeo era nelle mani del Labour Party, che malgrado la guerra fredda alle porte non rinunciava a ipotizzare un’Europa guidata da governi socialisti e autonoma rispetto alle due superpotenze. Una prospettiva che avrebbe consentito alla Gran Bretagna di mantenere il suo ruolo di grande potenza, ponendosi alla guida del processo di ricomposizione dell’Europa dalle macerie della guerra. Non era naturalmente in discussione l’appoggio americano, indispensabile alla resurrezione europea; ma, per realizzare il suo progetto, il Labour Party aveva bisogno di assicurarsi il consenso di tutta la famiglia socialista, compresi i fratelli dell’Est e compresi i socialisti italiani che in numero assai maggiore militavano nel partito di Nenni e non in quello di Saragat. Certo, la situazione internazionale appariva già così deteriorata da lasciare ben poche illusioni; e il procedere della guerra fredda avrebbe reso inattuale l’ipotesi laburista, ponendo  tutta la sinistra europea di fronte a una scelta di schieramento, senza alternative intermedie. E’ comunque significativo che i laburisti lasciassero aperto il dialogo non solo con Nenni, ma anche con i socialisti dei paesi dell’Est, fino all’ultimo minuto, cioè fino al 1948. Al punto che tre mesi prima del colpo di Stato a Praga Denis Healey si recava a Brno al congresso del partito socialdemocratico ceco, il cui leader, Zdenek Fierlinger , avrebbe avuto di lì a poco un ruolo diretto nel soffocamento della democrazia in Cecoslovacchia.

La svolta si verificava però nel settembre 1947 con la nascita del Cominform, cui seguiva due mesi dopo la costituzione ufficiale del Comisco  (Commitee International Socialist Conference). La successione così ravvicinata dei due eventi non appare casuale: i socialisti europei acceleravano il processo di organizzazione per prepararsi all’offensiva della nuova Internazionale comunista che segnava la definitiva conclusione, a Ovest e a Est, della collaborazione antifascista tra le potenze e tra le forze politiche all’interno dei singoli Stati europei. Da Mosca partiva l’ordine di fusione con i partiti socialdemocratici che scomparivano dalle Repubbliche satelliti dell’URSS,  via via trasformate in dittature sul modello sovietico. Un appello veniva rivolto ai  socialisti occidentali, invitati a  fondersi con i comunisti, o, quanto meno, ad allinearsi, quali fedeli fellow-travellers, alle direttive dell’URSS, pena  il marchio infamante di “traditori” del proletariato e “fedeli complici dell’imperialismo”. Naturalmente sono evidenti le analogie con la situazione del 1919, quando la costituzione della Terza Internazionale aveva risposto a un preciso disegno che puntava a disintegrare le forze del socialismo per guadagnare l’intera classe operaia dell’Occidente alla causa rivoluzionaria. Nel 1947 Stalin si muoveva con cautela, deciso però a  rafforzare i partiti comunisti operanti nel blocco avversario: e il primo obiettivo era appunto l’assorbimento dei socialisti.  Quelli italiani erano l’anello più cedevole.

                   L’Internazionale “due e mezzo”

E Nenni cedeva alle tante pressioni subite, confermate dall’ampia documentazione reperita da  Zaslavski negli archivi di Mosca. Resta da chiedersi quale conoscenza avessero gli inglesi dei rapporti in corso tra Nenni e i sovietici che puntavano proprio sul PSI come pedina fondamentale della strategia cominformista, tesa a scompaginare le fila del Comisco. Questi documenti chiariscono che nell’autunno 1947  il PSI aveva compiuto la sua scelta di campo; ma gettano anche una luce ambigua sul comportamento di Nenni che  Malenkov si proponeva di usare come primo tassello per la costruzione di una Internazionale “due e mezzo” proprio in forza delle amicizie e della stima di cui il leader socialista italiano godeva tra i compagni europei. Un progetto che non si sarebbe realizzato, anche se questo nulla toglie al “tradimento” di Nenni nei confronti soprattutto degli inglesi. Le carte si scoprivano definitivamente dopo il colpo di Stato di Praga, nel febbraio del 1948, a cui Nenni applaudiva con un telegramma di congratulazioni al leader socialista ceco, Fierlinger.

A questo punto l’unità d’azione del PSI con il  PCI non poteva più avere giustificazioni neppure agli occhi dei laburisti, tanto più che l’accordo tra socialisti e comunisti sfociava – su esplicita richiesta di Nenni – in un cartello elettorale per le imminenti votazioni politiche. E una eventuale vittoria del Fronte rappresentava una minaccia per l’appartenenza stessa dell’Italia all’Occidente e per la tenuta delle istituzioni democratiche italiane. Il rifiuto del Comisco di  inviare una delegazione al Congresso socialista e le prime aperture verso il PSLI e nei confronti del neo nato movimento “Europa socialista”, promosso da Silone, testimoniavano l’inversione di rotta del Labour Party, su cui, del resto,  il Dipartimento di Stato americano esercitava pressioni sempre più forti. Malgrado tutto ciò, restava aperto ancora un ultimo filo di dialogo: nel  marzo 1948 Healy e Morgan Phillips, presidente del Comisco, si recavano appositamente a Roma per far capire a Nenni  quanto fossero illusorie la sua convinzione di sopravvivere all’abbraccio dei comunisti e la sua pretesa di neutralità nel mondo bipolare arrivato sull’orlo di un altro conflitto. Ufficialmente il PSI rispondeva così: “La nazione italiana ha il diritto e l’interesse di mantenersi estranea a qualsiasi politica tendente a dividere l’Europa e il mondo in blocchi contrapposti”[5].

Il Comisco prendeva atto della posizione del PSI, ma non rinunciava a “un appello finale” ai partiti socialisti polacco e italiano cui chiedeva “di rimanere fedeli al socialismo e alla democrazia, di riacquistare la loro libertà d’azione finché sono in tempo. Chiede loro di preservare la loro fede nella solidarietà attiva del socialismo internazionale e di dar prova con i loro atti che di fronte alla scelta tra la sottomissione al Cominform e una libera cooperazione socialista nella ricostruzione dell’Europa, essi hanno scelto la via socialista”[6]. Sulle pagine dell’Avanti! Morandi spiegava ai militanti che si trattava di un vero e proprio ricatto, dietro il quale c’era la mano di Washington,  anche se “gli ordini erano formalmente impartiti da Bevin”[7]. Nel 1956  Nenni avrebbe giustificato il suo allineamento all’URSS con la paura del terzo conflitto mondiale. Lo confidava a Pierre Commin che ne riassumeva le parole: “Noi abbiamo molto da rimproverare ai sovietici, ma nella prospettiva della guerra noi abbiamo scelto di rappresentare gli interessi della classe operaia contro il capitalismo e l’imperialismo”[8].

Il 7 giugno 1948 il Comisco deliberava un provvedimento di sospensione del PSI, forse nella speranza che i socialisti italiani, sconfitti alle elezioni politiche e in forte crisi al loro interno, volessero tornare sui propri passi; contemporaneamente entravano nell’Internazionale gli esponenti di Unità Socialista.  In effetti, il fallimento del Fronte e le polemiche con i comunisti sulla ripartizione dei rappresentanti in Parlamento ribaltavano gli equilibri politici del partito socialista a favore delle correnti autonomiste, con l’elezione alla segreteria di Jacometti, affiancato alla direzione dell’Avanti! da Riccardo Lombardi. Tuttavia a chiudere ogni possibilità alla nuova maggioranza di usare a suo vantaggio la sponda socialista internazionale provvedeva  Lelio Basso con un attacco duro contro il Comisco, accusato di subalternità agli Stati Uniti e soprattutto di non rappresentare i partiti di ispirazione marxista [9]. In risposta, a Londra si deliberava l’espulsione del PSI entro il maggio 1949, a meno che i socialisti italiani non avessero rotto entro quella data il patto d’unità d’azione con il PCI [10]. Un passo che gli autonomisti non erano assolutamente in grado di imporre al partito.

                   “Il Patto Atlantico è la guerra”

Resta da chiedersi se un diverso atteggiamento dell’Internazionale, un’apertura di credito più esplicita avrebbe aiutato Jacometti e Lombardi a contrastare con maggiore autorevolezza la minoranza interna che godeva anche dell’appoggio  finanziario sovietico distribuito a piene mani per incidere sull’esito finale della battaglia [11]. In realtà la forza del Comisco e del Cominform non sono paragonabili: l’organizzazione dei socialisti europei, malgrado la sua scelta occidentale, non aveva alcun legame di dipendenza dagli USA,  nei confronti dei quali non mancavano anzi occasioni di attrito. Al contrario il Cominform era organico all’URSS, che sosteneva con tutta la sua potenza i partiti comunisti. Ben scarso aiuto si potevano dunque aspettare gli autonomisti; del resto quando nel  maggio 1949 scattava l’espulsione, Nenni, Basso e Morandi avevano ormai ripreso in mano le redini del partito[12]. Poco più di un mese prima l’Italia aveva firmato a Washington il Patto Atlantico, accolto da Nenni con queste parole: “Il Patto Atlantico è la guerra”[13].

Si compiva così a livello ufficiale la scelta di campo filosovietica: l’allineamento a Mosca era evidente e non bastavano certo a smentirlo gli improbabili distinguo tra “neutralità dello Stato e non dei sentimenti”, “neutralità verso gli Stati,  ma non rispetto alle classi sociali”. Tutte le posizioni internazionali dell’URSS venivano acriticamente condivise, compresa quella contro l’integrazione europea che invece era una bandiera dell’Internazionale Socialista, nata ufficialmente nel 1951, un anno non felice per i partiti aderenti, ciascuno in quel momento oppresso dai problemi incombenti nei singoli Stati: in Gran Bretagna dove i laburisti venivano sconfitti, e in Francia dove la SFIO si lacerava sulla questione coloniale. Tutti segnali che avvaloravano nel PSI la percezione di un socialismo europeo allo sbando al quale si contrapponeva la forza monolitica del Cominform. Paradossalmente però proprio la debolezza dell’Internazionale Socialista consentiva a Nenni di non lacerare del tutto la tela dei suoi contatti, in particolare con Aneurin Bevan, autorevole esponente della minoranza laburista, amico personale del leader socialista italiano e schierato a favore della neutralità europea, sostenuta anche dai socialisti scandinavi.

Senza timore di forzare troppo la documentazione, questi contatti rappresentano un primo passo per riallacciare i rapporti col socialismo europeo che Nenni individuava come una risorsa per il PSI in un momento buio della sua esistenza. Il frontismo non era in discussione, ma pesava in termini di perdita di identità e di iniziativa politica. Per quanto si debbano leggere con le dovute cautele le confessioni di Nenni, dal suo diario di questi anni traspare più di una volta il disagio nei confronti del legame soffocante con l’Unione Sovietica, vissuto come un passo obbligato, necessario ma non soddisfacente [14]. Del resto a partire dal 1953, con la morte di Stalin e l’avvio delle trattative di pace in Corea, non mi pare ci siano più dubbi sul valore da attribuire alla ripresa del dialogo con l’Internazionale Socialista, anche perché la distensione internazionale aveva un effetto dirompente e liberatorio per il PSI, ma contemporaneamente, per i partiti socialisti europei.  L’allentarsi della tensione tra i due blocchi faceva  riacquistare centralità all’Europa dove, agli occhi di Nenni, si apriva una partita imperniata sulla capacità dei socialisti di diventare determinanti nei governi dei propri paesi per liberarli dai vincoli internazionali imposti dalle superpotenze; un compito che solo i socialisti erano in grado di realizzare, perché “sotto la bandiera comunista non si vince in Europa” [15]. Un  compito di cui intendeva farsi carico il PSI, nella convinzione che “l’Italia è oggi il paese dove lo spostamento dell’asse politico a sinistra è più probabile in Europa”[16].

                   La missione di Commin

Pierre Commin, alla guida della Commissione Affari Internazionali della SFIO, avrebbe valorizzato al massimo questi primi passi verso l’autonomia socialista dal PCI e da Mosca. Nel rapporto scritto nell’estate 1956 Commin afferma che ancor prima della scomparsa di Stalin dalla scena il leader del PSI aveva preso le distanze dal frontismo. Nenni, «qui n’est pas un doctrinaire, ma qui est un homme politique extraordinaire, avec un sens de la réalité et de l’évolution politique probablement unique en Europe, je le dis très franchement », aveva di fatto svuotato di ogni significato il patto d’unità d’azione con i comunisti [17]. Per due anni, dal 1952 al 1953, con l’eccezione dei periodi elettorali, non c’erano state riunioni congiunte dei due partiti per discutere una linea politica comune, e nel 1953 la rottura del fronte popolare aveva avuto un significato emblematico, anche se concordata con il PCI. Del resto la distensione internazionale eliminava la ragione stessa dell’accordo, nato dalla paura di un terzo conflitto mondiale. Non a caso nell’estate del 1954 Nenni a Londra incontrava privatamente Morgan Phillips: una visita  interpretata come un passo ufficiale per ristabilire relazioni amichevoli tra il partito socialista italiano e il Labour Party. Nenni chiedeva a Phillips di inviare un osservatore al Congresso del PSI, convocato per l’anno successivo; richiesta respinta per non suscitare il risentimento di Saragat, anche se in un rapporto dell’Internazionale Socialista si riconosceva che “negli ultimi tempi l’azione del PSI è stata su diverse questioni convergente con quella dei partiti dell’Internazionale o di importanti minoranze di questi partiti”[18].

Che Nenni tenesse in modo particolare alla presenza di delegati internazionali al Congresso socialista è logico, se si considerano le novità annunciate alle assise: il Patto Atlantico, adesso accettato nella “interpretazione  difensiva e geograficamente delimitata”; l’apertura ai cattolici che un mese dopo veniva confermata dall’appoggio socialista a Gronchi eletto capo dello Stato. Poco dopo arrivavano anche le dimissioni di Nenni dalla carica di vice presidente del Consiglio mondiale dei Partigiani della Pace, un chiamarsi fuori dalle responsabilità “di una serie di atti, alcuni ispirati da me, altri no, che nascevano da iniziative dei comunisti che non ero in grado di controllare”, come confessava sul suo diario [19]. Di sicuro, la mossa va letta come un acceleratore nel processo di legittimazione del PSI in Italia, nell’illusione “di realizzare l’apertura a sinistra fino alla partecipazione  socialista nella presente legislatura”[20]. Tanto ottimismo, in così stridente contrasto con quella che sarà, invece, la esasperante lentezza del processo di avvicinamento al governo, si spiega  con una sopravvalutazione della situazione internazionale. Per Nenni distensione tra i blocchi e crescita economica stavano chiudendo il capitolo della guerra fredda con la conseguenza di archiviare in Italia i governi centristi da sostituire con nuove maggioranze.

Questa rosea visione sull’aprirsi di un’era di pace, era condivisa in parte dall’Internazionale Socialista, che nel 1955 rilanciava il tema dell’unificazione europea, si dichiarava a favore del disarmo e auspicava una soluzione della questione tedesca che garantisse anche l’Unione Sovietica [21]. Ancora più avanti si spingevano i laburisti inglesi con il piano Gaitskell – creazione in Europa di una fascia neutrale, comprendente i due Stati tedeschi e alcuni paesi dell’Est e disarmo globale. Illusioni: la guerra fredda non era finita e non finiva neppure con il XX Congresso del PCUS, accolto invece dai socialisti italiani e da quelli europei con la stessa visione ottimistica [22], come dimostra il vero e proprio pellegrinaggio di esponenti socialisti in visita a Mosca nel 1956. Erano tanti i “pellegrini”, ma pur sempre una minoranza nell’Internazionale Socialista, dove in molti, specie i rappresentanti in esilio dei partiti socialisti dell’Est, annientati o ridotti con la forza sotto il giogo sovietico[23],  giudicavano strumentale la mano tesa da Kruscev verso le socialdemocrazie europee. Né cambiavano idea di fronte allo scioglimento del Cominform deciso nel maggio 1956: “Siamo davanti a una nuova offensiva sovietica e comunista che si propone di distruggere, dopo averlo addormentato e incorporato, tutto ciò che rimane del movimento socialista vivente in Europa Occidentale”[24].

Tuttavia anche ufficialmente una porta veniva socchiusa. Pur rigettando “ogni forma di collaborazione con i partiti comunisti”, l’Internazionale si diceva “favorevole alla cooperazione tra i governi la quale faciliterebbe la pacifica soluzione dei problemi controversi”[25]. Nenni si aggrappava a questo spiraglio per compiere un altro importante passo avanti sul terreno dell’integrazione europea, un tema caro all’Internazionale. La dichiarazione a favore dell’Euratom al Comitato Centrale del 9 aprile 1956 va letta proprio nel contesto delle tante risoluzioni a favore dell’energia nucleare a fini pacifici rilasciate dal Council [26]. Certo, il PSI procedeva con cautela e solo l’anno successivo compiva il primo passo decisivo con l’astensione sul MEC e il voto a favore dell’Euratom. Tuttavia la presa di posizione dell’aprile 1956 restava significativa, confermata dagli articoli di Fenoaltea su Mondo Operaio[27], e dello stesso Nenni sull’ Avanti!, che auspicava un europeismo “fattore di pace per il mondo e di progresso per il continente, fuori cioè dai blocchi militari, in una funzione autonoma di mediazione e di arbitrato”[28]. Le assonanze con l’Europa socialista del 1945 sono evidenti.

                   La svolta europeista

A giudizio di Saragat però nel discorso di Nenni mancava ancora l’essenziale dichiarazione di “solidarietà occidentale”, senza la quale la fede europeista di Nenni rimaneva ambigua. Ben diversa accoglienza trovava il segretario del PSI tra i socialisti francesi, in particolare Commin che considerava “non equivoca” la posizione di Nenni sia per quanto riguardava l’Europa sia per quanto riguardava il vincolo atlantico[29]. Saragat non si convinceva e la sua opinione è una chiave di lettura indispensabile perché da questo momento in poi il problema dell’appartenenza internazionale del PSI si intrecciava con la questione della riunificazione socialista e della  partecipazione socialista al governo in Italia. Saragat possedeva – o credeva di possedere – le chiavi che aprivano entrambe le porte, e da questa posizione di forza agiva da stimolo, ma paradossalmente anche da freno, all’evoluzione della politica socialista. Da un lato ne accelerava il percorso, costringendo Nenni  a spezzare in modo sempre più netto i vincoli frontisti per abbattere il muro di diffidenze che i lunghi anni dell’unità d’azione con il PCI avevano eretto in Europa e in Italia nei confronti del PSI; dall’altro lato, però, le pressioni del PSDI sollevavano ostilità in larghi settori del partito socialista, non circoscrivibili alla sola corrente filocomunista, costringendo Nenni a combattere contemporaneamente su due fronti, interno ed esterno. Sotto questo profilo Saragat rappresentava per Nenni un ostacolo ingombrante, e come tale lo vedevano anche alcuni leader europei disposti a dare credito alla revisione dei socialisti italiani.

La questione del patto d’unità d’azione tra PSI e PCI non era però eludibile, come Nenni sapeva bene anche se si muoveva con estrema cautela  per non allarmare l’ala filocomunista del PSI. Ne ridimensionava il valore politico definendo l’accordo con i comunisti “ormai soltanto un documento della storia del movimento operaio”[30]. Il messaggio non era rivolto solo all’interno del PSI, ma soprattutto all’esterno, al PSDI, con il quale in occasione di un parziale turno di elezioni amministrative si stavano facendo accordi locali premiati dal voto, a  dimostrare i  vantaggi di una riunificazione. La bomba del rapporto segreto di Kruscev esplodeva dunque su un terreno già arato. Da questo momento il percorso di riavvicinamento ai socialdemocratici si faceva più veloce, in rapporto all’accelerarsi della revisione ideologica e politica. La denuncia dei crimini di Stalin era  l’occasione per marcare un distinguo netto tra socialismo e comunismo, rivendicare la continuità di una identità socialista storicamente distinta, da quella comunista. Nenni non attaccava solo il sistema sovietico; alzava il tiro sui partiti comunisti dell’Est e dell’Ovest, partiti monolitici che portavano “con sé il pericolo permanente della degenerazione; partiti dove si respira “una certa atmosfera di doppiezza”, come nel caso del PCI[31]. Parole che gli provocavano una dura risposta di Togliatti[32]; ma che persino Saragat avrebbe potuto sottoscrivere. Parole che dissipavano molte diffidenze nell’Internazionale, dove si comincia a evocare un reingresso del PSI, riunificato col PSDI, come emergeva da un’intervista rilasciata ad Epoca da Peter Ericson, segretario del Dipartimento internazionale del Labour Party [33].

                   Pralognan e dintorni

I rapporti di forza all’interno del PSI consigliavano prudenza al segretario socialista timoroso di provocare una rivolta della sinistra socialista ancora molto forte nel partito. Del resto perché impegnarsi in una battaglia frontale quando a spiazzare gli avversari dell’autonomia socialista erano gli stessi avvenimenti internazionali? La bomba del rapporto segreto di Kruscev aveva già fatto più danni nel campo dei Basso, dei Vecchietti, dei Valori e di tutti gli altri di quanti Nenni e i suoi potessero sperare; la rivolta in Polonia, nei primi giorni di luglio, era poi un’altra tempesta che si abbatteva devastante sui socialcomunisti del PSI. A questa data si era già messa in moto la mediazione dell’Internazionale per accelerare l’unità socialista, anche se Nenni dosava con il conta gocce le notizie da far trapelare all’esterno e stava ben attento a non nominare la parola “unificazione”, sostituendola col termine “azioni comuni”[34]. L’Internazionale giocava dunque un ruolo decisivo in questa svolta della storia del PSI, come testimonia la missione a Roma di Commin il vero tessitore dell’incontro tra Nenni e Saragat a  Pralognan nell’agosto [35]. Nel resoconto inviato dallo stesso Saragat a Morgan Phillips il leader socialdemocratico si diceva soddisfatto dalle risposte  di Nenni che aveva esclusa la partecipazione del PCI al governo: “the country would not understand it and the consequences might be serious”; il che significava che “the future unified Socialist Party would not participate in the Government with the Communists[36].

Ottenute queste assicurazioni Saragat rompeva la consegna del silenzio informando la stampa del colloquio con Nenni. Perché lo fa? Due le ipotesi: dare pubblicità all’incontro segreto significava vincolare Nenni a quanto aveva appena dichiarato in privato. Oppure, Saragat intendeva mettere in difficoltà il suo amico-avversario contro il quale si sarebbero scatenate le ire delle correnti di sinistra del PSI, come puntualmente avveniva. Era questo il pretesto usato da Saragat per dare un colpo di freno alla riunificazione, irrealizzabile con un PSI ancora dominato dai filocomunisti. A pochi giorni dal precedente rapporto, Saragat cambiava dunque versione e manifestava a Phillips tutti i suoi dubbi anche sulla presunta conversione  democratica di Nenni che usava strumentalmente l’accordo con il PSDI per spianarsi la strada al governo [37]. Un passo indietro così vistoso va imputato anche al carattere del leader socialdemocratico, sicuramente irritato dai tanti elogi che la stampa straniera dopo l’incontro di Pralognan tributava a Nenni definito dall’Express “l’uomo della settimana”, “la più forte personalità del socialismo dopo la morte di Leon Blum e di Harold Laski”[38].

Per fronteggiare la tempesta interna Nenni frenava sulla questione dell’unità socialista che persino tra gli autonomisti sollevava qualche dubbio. Scaricava sull’Internazionale tutta l’iniziativa dell’incontro di Pralognan e si limitava a valorizzare la visita di Commin a Roma che sanciva la fine dell’isolamento internazionale del PSI [39]. Non bastava ovviamente ad arginare la polemica interna, descritta da Commin in tutte le sue articolazioni, compresa la posizione dei gauchistes tradizionali e sentimentali, “comme Bertini [leggasi Pertini] et quelques autres”, che continuavano a sostenere l’unità della classe operaia. I veri nemici di Nenni erano però i ben più pericolosi e numerosi funzionari (circa 700-800), pagati direttamente dal PCI, che formavano i quadri intermedi del PSI, dei veri e propri “agents communistes envoyés au sein du PSI pour y faire le travail que vous supposez[40]. Le resistenze interne non impedivano comunque a Nenni di onorare la promessa fatta a  Saragat,  la rottura cioè del patto di unità d’azione, sostituito però da un accordo di consultazione tra PSI e PCI che  scontentava tutti, Saragat ma anche l’Intrernazionale, con grande soddisfazione dei comunisti, al dunque i veri vincitori di questo round.

                   Carri e carristi

Il PCI godeva la sua vittoria solo per pochi giorni; poi la crisi Budapest sembrava di nuovo offrire a Nenni le carte migliori. La sua condanna era immediata in pubblico e in privato: “L’intervento sovietico è un atto di incoscienza e di provocazione…L’internazionalismo diviene colonialismo. E’ spaventoso”; “L’intervento sovietico in Ungheria scava un abisso tra noi e i comunisti”[41]. L’indignazione generale chiudeva la bocca alla sinistra socialista, costretta a ingoiare la delibera della direzione socialista che definiva  la repressione ungherese  “incompatibile col diritto dei popoli all’indipendenza”[42]. In teoria questa posizione avrebbe dovuto trovare il plauso di Saragat e far riguadagnare consensi a Nenni nell’Internazionale. In pratica, invece, il risultato era nullo, perché gli avvenimenti ungheresi venivano vissuti come una sorta di tradimento delle tante speranze che il nuovo corso di Mosca aveva suscitato, prima fra tutte quella di veder dissolto l’incubo della guerra fredda. La “commedia della distensione” era  finita;  Kruscev aveva gettato la maschera, scoprendo il “tragico volto imperialista dell’URSS”, scriveva Saragat [43]. Parole tali da ridar fiato agli avversari interni di Nenni che nel CC del 14 novembre sparavano sull’oltranzismo atlantico del PSDI col quale andava esclusa ogni ipotesi di riunificazione.

Nenni viveva un momento difficile: Saragat si irrigidiva, Fanfani congelava ogni ipotesi di centrosinistra, le sinistre interne vincevano il Congresso di Venezia del 1957.  E’ però significativo che alle assise veneziane del gennaio 1957 fosse presente un’autorevole rappresentanza dell’Internazionale Socialista, della SFIO e del Labour Party, con Morgan Phillips, Commin e Bevan. Saragat, correttamente preavvertito, non si era opposto, convinto che i delegati europei avrebbero avuto chiara la dimostrazione di un PSI dominato dai filocomunisti. Si sbagliava. Malgrado gli autonomisti fossero alle corde, Nenni strappava al Congresso una dichiarazione a favore dell’unità europea e rendeva pubblico omaggio a Bevan, ministro degli esteri del governo ombra laburista che si mostrava compiaciuto. Tanto compiaciuto da pronunciare una frase – particolarmente irritante per Saragat – sulla questione della riunificazione del socialismo italiano: “Se il processo di unificazione non si compie, dato che il regolamento dell’Internazionale non ammette che un paese sia rappresentato da due partiti, l’Internazionale si troverà di fronte alla penosa necessità di scegliere quale dei due partiti dovrà rappresentare il socialismo italiano”[44].

La replica del leader socialdemocratico era decisamente risentita: “Se dopo dieci anni il PSI si avvicina alle posizioni dell’Internazionale questo deve essere motivo di gioia per tutti, ma non deve offrire a nessuno il pretesto per esercitare pressioni sul PSDI che ai principi dell’Internazionale è sempre stato fedele e tanto meno per esercitare di fronte ad esso la minaccia di una espulsione”[45]. Saragat sapeva di avere dalla sua la maggioranza dell’Internazionale che aveva davanti agli occhi una relazione sul PSI non certo rassicurante: il partito socialista italiano restava vincolato al PCI da legami profondi e diffusi, nelle organizzazioni di base, nelle amministrazioni locali, nelle cooperative. Come era poi  “widely alleged”, gli uomini  dell’apparato morandiano, forti del 38% dei voti al Congresso e di 30 posti al CC, “have been kept on the pay-role as a result of communist subsidisation, including the past few months”; a loro si dovevano poi sommare altri compagni, finanziati pure loro da Mosca e i “payments were canalised through Pertini following Nenni’s refusal to accept any further financial backing after his meeting with Saragat at Pralognan[46]. Questo rifiuto di Nenni ad accettare ulteriori finanziamenti dall’URSS, era però fondamentale per convincere della buona fede del leader socialista l’Internazionale, che comunque da questo momento si poneva il problema di come materialmente sostenere gli sforzi della corrente autonomista.

                   Gelosie saragattiane

L’altra spinosa questione riguardava i sindacati: “Most european parties believe that a break with the communists at a political level while maintaining a united front at trade union level is just a contradictions in terms[47]. Sciogliere questo nodo non appariva però così agevole anche se la strada dell’unità sindacale si cominciava ad aprire. Per il momento si confrontano due ipotesi: quella di Viglianesi, che chiedeva ai socialisti della CGIL di confluire nella UIL per avviare in concreto il processo di riunificazione socialista; e quella di Fernando Santi, che proponeva di affrettare i tempi per la ricomposizione di tutti i sindacati senza ulteriori mini scissioni. Un’ipotesi sulla quale concordava il comunista Di Vittorio, anche lui come Santi consapevole che la sola e vera garanzia di un sindacato unitario stava nella sua netta autonomia dai partiti. Saragat invece metteva tutto il suo peso sulla proposta di Viglianesi scatenando un conflitto non più componibile con Matteotti; ma soprattutto offrendo un nuovo pretesto alle correnti della sinistra socialista per attaccare Nenni. A tenere vivo il filo dell’unità socialista in questo periodo erano soprattutto i  socialdemocratici Matteotti, Zagari e Faravelli che premevano su Phillips perché il Congresso dell’Internazionale  si pronunciasse sulla questione italiana [48]. Una sollecitazione ovviamente respinta. Veniva accolto invece l’invito di inviare al Congresso del PSDI un delegato dell’Internazionale che ricavava però un’impressione assai deludente dalle assise.

Matteotti e i suoi si illudevano di controllare la maggioranza del partito ancora saldamente nelle mani di Saragat, malgrado il caos interno e l’evidente nervosismo del leader che “looks like a man living of his nerves”; i tanti verbosi discorsi ascoltati  portavano tutti alla stessa conclusione,  e cioè che Nenni era affidabile, ma non il suo partito [49]. Tuttavia “a strong Italian Socialist Party is a vital necessity for the entire Socialist International”, e i compagni italiani non potevano aver dimenticato il grande successo che uniti avevano riscosso nel 1946: “It is in your hands, it is in your minds, to remember that, and to do the same in the next elections[50].  Griffith alludeva alle imminenti elezioni politiche, banco di prova significativo per i futuri rapporti tra PSI e PSDI, ma anche per la politica dell’apertura a sinistra della DC. Il risultato premiava Nenni e compiaceva i suoi amici dell’Internazionale: i socialisti salivano oltre il 14%, mentre i socialdemocratici restavano praticamente fermi con un incremento dello 0,1%. Tuttavia la somma del 14,2% socialista e del 4,6% socialdemocratico dava un totale che si avvicinava al  mitico 20% del 1946.

Sarebbe bastata questa constatazione per presumere che quanto non si era realizzato nel 1956, dopo Pralognan,  potesse finalmente accadere nel 1958. Del resto, a mio avviso, era questa la convinzione prevalente nell’Internazionale, per lo meno nei mesi immediatamente successivi al maggio 1958, quando si moltiplicavano i propositi dei socialisti europei di sostenere  anche concretamente la battaglia di Nenni contro le correnti filocomuniste in vista del congresso. Proprio per sottrarre il PSI al condizionamento finanziario del PCI e guadagnare alla causa autonomista le federazioni più recalcitranti  Alfred Robens, rappresentante laburista nell’Internazionale, cercava di raccogliere le 30 mila sterline richieste da Nenni: una somma abbastanza modesta, del resto, dal momento che si trattava di  “win a major battle in the cold war[51]. Robens non aveva dunque alcun dubbio che il successo degli autonomisti avrebbe significato finalmente l’unità del socialismo italiano; e dello stesso parere era la maggioranza dell’Internazionale, pur con le dovute cautele per non irritare Saragat. Un Saragat  che appena  informato, giudicava l’intero affare “cinico e grottesco”[52]. Si deve, a mio avviso, partire proprio da qui per individuare una delle ragioni principali che facevano fallire la riunificazione tra il PSI e il PSDI anche nel 1959, malgrado Nenni avesse ormai conquistato la maggioranza nel suo partito e malgrado il vistoso sostegno della famiglia socialista europea.

Il sostegno della famiglia socialista europea a Nenni era  proprio il punto più dolente per il leader del PSDI, che si sentiva in qualche modo tradito, come scriveva a chiare lettere in un articolo pubblicato sul New York Leader: “Da dieci anni, e cioè da quando è nato il partito socialista democratico, il mondo sindacale e politico democratico e socialista dell’America e dell’Inghilterra si è posto il problema di cercare di separare il partito di Nenni dai comunisti”, senza però riuscire nell’intento. Questa verità sfuggiva ai socialisti europei che non volevano vedere la realtà del PSI, un partito in cui solo il 25 % degli aderenti aveva effettivamente un orientamento democratico. E in questo 25% Saragat dubitava persino si potesse includere Nenni, che “ha 67 anni e che da 50 pratica la politica dell’equilibrismo fra la libertà e la dittatura. Si può sperare che questo uomo abituato al doppio gioco saprà trovare il coraggio di dare battaglia e di scendere coraggiosamente sul terreno della democrazia? E’ molto difficile rispondere. E’ da 40 anni che aspetto Nenni sul terreno della democrazia e non ho l’impressione che la mia attesa stia per finire. A conti fatti è più probabile che Nenni, dopo una buona partenza autonomistica, finirà per adattarsi a un nuovo compromesso con una maggioranza comunista e para-comunista del suo partito”[53].

                   La replica di palazzo Barberini

                   La lunga citazione mi pare lasci pochi dubbi sulla pregiudiziale indisponibilità di Saragat a

                   realizzare l’unità socialista; e, anche se può sembrare un paradosso, il suo atteggiamento appare più

                   ostile nel ’58-’59 di quello del ’56, quando si era fatto trascinare da Commin a Pralognan. Non vanno naturalmente trascurati gli elementi caratteriali nel suo tormentato rapporto con Nenni; ma, a prescindere da una lettura psicoanalitica, sono soprattutto i cambiamenti politici nel quadro generale a influenzare la marcia indietro del leader socialdemocratico. Nel gennaio del 1959 Nenni appariva assai più forte di lui: aveva ribaltato a suo favore gli equilibri interni del PSI, mentre Saragat guidava un PSDI che stava perdendo pezzi; Nenni aveva alle spalle un successo elettorale; i socialdemocratici no; Nenni era ormai un interlocutore gradito all’Internazionale, e soprattutto in Italia aveva riaperto con la DC un dialogo che prescindeva dalla mediazione di Saragat e procedeva anche in assenza della riunificazione del socialismo. In queste condizioni l’unità socialista si presentava come un mero assorbimento del PSDI nel PSI, che per di più  malgrado la vittoria degli autonomisti restava agli occhi del leader socialdemocratico ancora profondamente inquinato dai filocomunisti.

Nel 1959 il no di Saragat  rappresenta però per il socialismo italiano un passo quasi altrettanto grave della scissione del 1947: di lì a tre anni i socialisti si sarebbero infatti trovati insieme nella coalizione di centrosinistra, ma ancora divisi e sospettosi l’uno dell’altro. Non è un elemento di poco conto nel valutare le cause del fallimento politico di Nenni, che puntava alla costruzione di un terzo polo socialista per ridisegnare gli equilibri del sistema. Alla tappa del governo il socialismo si presentava, dunque, con un’immagine offuscata e sostanzialmente ambigua. Ben altro richiamo avrebbe avuto agli occhi degli elettori un partito unificato, politicamente compatto, comprendente tutte le anime socialiste, democratiche, riformiste, laiche, progressiste; capace, insomma, di rappresentare la sintesi delle aspirazioni alla modernità di vasti settori della media e piccola borghesia e degli operai nel pieno del boom economico. Senza contare che nei rapporti di forza all’interno della coalizione governativa la divisione dei due partiti socialisti, in sotterranea o palese polemica tra loro, diminuiva la capacità di incidenza di entrambi, agevolando di fatto la DC che non esitava a servirsi dell’uno contro l’altro, a seconda delle circostanze.  In ogni caso ben poco l’Internazionale poteva fare per rilanciare il dialogo tra Nenni e Saragat, entrambi i benvenuti nella famiglia socialista. A questo punto spettava però a loro risolvere “the constitutional problem of”

Riferimenti

[1]              Gran parte della documentazione archivistica su questo tema si trova nel saggio di S. Colarizi, Il Psi e l’Internazionale socialista , in “Mondo Contemporaneo”, a. I, 2.

[2]                AIS., Correspondence, Italy 1947-1958,  8 Port. Rapporto di V. Larock al Bureau sul Congresso della scissione del partito italiano (1947). Per l’aspetto dei finanziamenti americani, cfr. G. Gabrielli, Gli amici americani, Angeli, Milano …  Per quanto riguarda invece gli aiuti da parte dei sovietici al Psi, cfr. V. Zaslavski, Lo stalinismo e la sinistra italiana, Mondadori, Milano 2004,  pp.151-184.

[3]              Amsterdam, Archivio S.I., Corrispondence, Italy 1947-1948, 8 Port. Rapporto di V. Larock, cit..

[4]              A. Jacometti, Federalisti utopisti, MO, n.7/8, luglio/agosto 1957.

[5]              “Avanti!”, 19 marzo 1948.

[6]              A. SI, COMISCO, 1948-1951, 8 Port., Risoluzione del Comisco, 20 marzo 1948.

[7]              “Avanti!”, 27 marzo 1948.

[8]                OURS, Psi-Sfio, Commission des Affaires Internationals, 24 novembre 1956, « Le probleme de l’unification socialiste en Italie », ES 133 BD.

[9]              L. Basso, L’Internazionale, “Avanti!”, 5 giugno 1948.

[10]            Ivi. Cfr. i documenti relativi al Meeting di Clacton, 3 dicembre 1948.

[11]            V. Zaslavski, Lo stalinismo e la sinistra italiana, Cit.

[12]             S.I. Correspondence, Italy 1947-1958, 8 Port.

[13]            P. Nenni, Pulci con la tosse e cose serie, MO, n. 5, maggio 1949.

[14]            P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Sugarco, Milano 1981, p. 540.

[17]            OURS, Ps-Sfio, Commission des Affaires Internationales, 24 novembre 1956, « Le probleme de l’unification socialist en Italie », Compte rendu stenografique. ES – 133 BD.

[18]            ALP, Italy – Correspondence, 1955-1963.

[19]            P. Nenni, Tempo di guerra fredda…Op.Cit., p. 637, p. 719.

[21]            A. SI, Risoluzioni, IV Congresso Internazionale Socialista, Londra 12-16 luglio 1955.

[22]            Relazione di Nenni al Comitato Centrale dell’aprile 1956, in “Avanti!”, 10 aprile 1956.

[23]            A. SI, Correspondence, Italy 1947-1958, 8 Port.,

[24]            A. SI, International Socialist Conferences, Seminars, 1952-1962, Seminario di Brevière, maggio 1956.

[25]            A. SI, Correspondence, Italy 1947-1958, 8 Port., Risoluzione dell’Internazionale Socialista sui rapporti tra socialisti e comunisti, votata a Londra il 7 aprile 1956.   

[26]            A. SI, Risoluzioni, IV Congresso dell’Internazionale Socialista, Londra 12-16 luglio 1955.

[27]            G. Fenoaltea, Europeisti e no, MO, n1, gennaio 1957.

[28]             “Avanti!”, 8 febbraio 1957.

[29]            OURS, Ps-Sfio, Commission des Affaires Internazionales, 24 novembre 1956, « Le problème de l’unification socialiste en Italie », Cit.

[30]            Relazione di Nenni al CC. “Avanti!”, 8 giugno 1956.

[31]            P. Nenni, Primo bilancio sulla polemica del XX Congresso di Mosca, “Avanti!”, 29 luglio 1956.

[32]            “L’Unità”, 4 agosto 1956.

[33]            A.L.P. Italy Correspondence, 1955-1963, “Epoca” , 12 giugno 1956.

[34]            P. Nenni, Tempo di guerra fredda, cit., p. 742.

[35]            AIS Italy, 1954, 55, 56, 59, Correspondence.

[36]            ALP, Italy, 1954, 55, 56, 59 Correspondence. Circolare n. B11/57, Appendix III.

[37]            Ivi, Lettera di Saragat a Morgan Phillips in data 12 settembre 1956.

[38]            “L’uomo della settimana, Pietro Nenni”, in “Express”, 7 settembre 1956.

[39]            P. Nenni, La realtà del Psi, “Avanti!”, 2 settembre 1956.

[40]            Relazione di Commin, cit. in  OURS, Ps-Sfio.

[41]            P. Nenni, Tempo di guerra fredda, Op.Cit., pgg. 755-56.

[42]            “Avanti!”, 2 novembre 1956.

[43]            “La Giustizia”, 6 novembre 1956.

[44]            “Avanti!”, 9 febbraio 1957.

[46]            ALP, NEC, 8/X/56 – 27/II/57, b. 122.

[48]            ALP Italy, Correspondence, 1955-63. Lettera a firma di Faravelli e Zagari in data Roma 1 luglio 1957.

[49]            <<No one seemed capable of expressing his point of view in a less than one hour and most took two hours to get it all across>>. ALP, Italy, Correspondence 1955-1963, Rapporto di Mr. Jim Griffith a Morgan Phillips, in data 23 ottobre 1957.

[50]            A. SI., Correspondence, Italy 1947-1958, 8 Port. Discorso di saluto di James Griffith al Congresso del Psdi del 16-20 Ottobre 1957.

[51]            Nota confidenziale di Alfred Robens, deputato laburista, ad Albert Carthy, il 5 luglio 1958. A. SI, Correspondence, Italy 1947-1958, 8 Port.

[53]            L’articolo di Saragat, pubblicato nell’agosto 1958 in “The New Leader” di New York , è conservato nell’archivio dell’IS, Correspondence, Italy 1947-1958, 8 Port. Ivi.