Società è una parola che nel suo significato più “debole” viene persino utilizzata nell’etologia animale: basta che esista una minima suddivisione di compiti, una qualche forma di cooperazione ed ecco una società.
Nel particolare antropologico, dove il significato può tendere a farsi più forte, possiamo tentare di definire la società guardando chi né emarginato; eppure costoro possono sistemarsi, o addirittura sistematizzarsi, in una loro società, avulsa, confinante o intersecata con la società di origine o persino con una terza.
Le moderne scienze (per l’appunto) sociali hanno delle esigenze empiriche molto stringenti (talvolta autosqualificantesi) quando si tratta di darsi un fondamento. Per tale motivo il grosso delle concettualizzazioni, pressoché prescrittive, impiegate nel corso della storia umana fino al XIX secolo risultano insufficienti a definire cosa “società” sia. Nel suo “L’Uomo e la gente”, Ortega y Gasset denuncia appunto quanto poco sforzo fosse stato dedicato a tale definizione da parte dei grandi padri fondatori delle scienze sociali (Comte e Spencer in primis) che pur non si erano risparmiati prolusioni su tutto ciò che deriverebbe dal concetto di società.
Successivamente però, con grande spirito empirico, molti hanno provato a supplire tali mancanze.
Sorvolando, almeno per il momento, gli impianti sociologici del marxismo, iniziamo questa panoramica antologica con Marion J. Levy jr che sembra averci fornito una definizione molto secca con cui cominciare.
Per il sociologo statunitense allievo di Talcott Parsons, società sarebbe
Un sistema sociale tale che tutti gli altri sistemi sociali sarebbero sottocategorie o di una particolare società o delle interrelazioni di due o più società.
Levy Jr, M. J., La struttura della società (1952), tr. It., Comunità, Milano 1970 (20, 39)
Parliamo dunque di società quando, dopo aver circoscritto un settore o un aspetto della collettività, ne tracciamo i rapporti con gli altri settori e aspetti.
Ma come ci si associa? Si tende in molte scuole di pensiero a parlare di socializzazione quale
processo ontogenetico attraverso il quale l’individuo diventa membro della società
Berger P.ç. e Luckmann TH,. La realtà come costruzione sociale (1996), tr. It. Il Mulino, Bologna 1969 (5, 71).
Più analiticamente, la socializzazione può essere definita il processo mediante il quale
la persona umana apprende ed interiorizza, lungo il corso della sua vita, gli elementi socioculturali del suo ambiente, integrandoli alla struttura della sua personalità sotto l’influenza di esperienze e di agenti sociali significativi e adattandosi, in questo modo, all’ambiente sociale in cui deve vivere.
Rocher G., Introduzione alla Sociologia generale (1968), tr. It., SugarCo, Milano 1980 (31, 112)
Questa prospettiva appartiene ad un filone che tende a vedere la società come integrazione, una visione non universalmente condivisa considerando l’opposta visione della società come coercizione.
La parola Dahrendorf per una prima pennellata di queste assunzioni che fanno divergere gli studiosi in due principali forze contrapposte:
Una di queste, la teoria della società come integrazione, concepisce la struttura sociale come un sistema funzionalmente integrato, mantenuto in equilibrio da processi ricorrenti aventi forme determinate; l’altra, la teoria della società come coercizione, considera la struttura sociale come una forma di organizzazione tenuta insieme dalla forza e dalla costrizione, costantemente protesa al di là di se stessa, nel senso che esprime dal suo seno le forze che la mantengono in un incessante processo di mutamento.
Dahrendorf R., Classi e conflitto di classe nella società industriale (1959, 2° edizione), tr. It. Laterza, Bari 1971
Questa complicazione, che si aggiunge alla primitiva definizione di società, sorge da
Consistenti tradizioni del pensiero sociale [che] hanno spesso presupposto […] una qualche mutua esclusione tra cooperazione e conflitto o divergenza.
Veca S., La società giusta, Il Saggiatore, Milano 1982 (38, 46)
Ovviamente il primo filone, società come integrazione, non esclude il conflitto sociale dal proprio panorama, ma appunto lo integra in
uno schema di cooperazione e conflitto per individui e gruppi
Cavalli I., Il mutamento sociale, Il Mulino, Bologna 1970
l secondo invece, che è prevalentemente l’indirizzo marxista, pone un accento decisivo sul rapporto di dominazione tra classi come generatore di diseguaglianze, di inculturazione, eccetera.
Alla base c’è in fatti un’evidente divergenza rispetto al significato dato alla disuguaglianza.
I sostenitori della società come integrazione, da questa divergenza hanno fatto emergere l’importantissima nozione di “stratificazione sociale”, ovvero
L’ordinamento di un gruppo sociale o società secondo una gerarchia di posizioni diseguali quanto a potere, proprietà, valutazione sociale e/o gratificazione psichica.
Tumin M. M., La stratificazione sociale (1967), tr. It., Il Mulino, Bologna, 1970
Nella teoria funzionalista, Talbott Parsons la fa risultare dalla
Classificazione delle unità immerse in un sistema sociale in accordo con i modelli del sistema di valori comuni
Parsons T., Society, in Encuclopaedia of the Social Sicenses, vol. XIV, Macmillan, Ne York, 1934, tr. It. Enzo Vittorio Trapanese
La stratificazione sociale sarebbe allora comune a ogni società, un aspetto che presenterebbe perciò funzioni positive, per cui
Se è vero che tutte le società umane sono stratificate, vuol dire che la stratificazione oltre a essere una forza di divisione, svolge anche un ruolo di unificazione
Reissman L., Classi sociali e potere, in Stratifazione e classi sociali, a cura di A. Carbonaro, Il Mulino, Bologna 1971 (29, 57)
Parallelamente ad una riflessione più sottile di Luciano Cavalli per cui
Il dissenso presuppone necessariamente il consenso
Cavalli L., Il mutamento sociale, Il Mulino, Bologna 1970
Non tanto opposto quanto complementare al concetto di stratificazione sociale è quello di mobilità sociale, che indica il
Passaggio di un individuo […] da uno strato sociale ad un altro
Sorokin P. A., La mobilità sociale (1927), tr. It., Comunità, Milano 1965
Stratificazione e mobilità sono facilmente traducibili in indicatori empirici, tanto che sono stati fondamentali per le moderne classificazioni delle società contemporanee nonché, ove possibile, almeno per l’analisi delle società passate.
Sotto l’influenza di Pitirim Sorokin e particolarmente di Talbott Parsons, i sociologi hanno preso l’abitudine di distinguere tre sistemi di azione interrelati e complementari: il sistema sociale (…); la cultura (…); la personalità
Rocher G., Introduzione alla Sociologia generale (1968), tr. It., SugarCo, Milano 1980 (31, 110)
Proseguendo, invece di precipitare verso il Libro V, Titolo V del codice civile, cerchiamo di cavar fuori qualche altra definizione di società capace, alla luce delle utili divagazioni premesse finora:
Iniziamo con la sociologia formale tedesca, che tende a ridurre la società alla pretta connessione relazionale[per la] conformità del cui tessuto è indifferente se i rapporti interumani si trovino nell’economia, nella sciabilità, nell’organizzazione militare, nello sport o altrove.
Wiese L. von, Sistema di sociologia generale, 1 voll. (1924 e 1928), tr. It., UTET, Torino 1968 (39, 273)
Un esito che risulta dalla seguente considerazione
Noi viviamo il mondo reale come una combinazione:
a) del corporeo;
b) dello psichico individuale, e
c) del sociale […]
La separazione logica di una sfera del sociale è indispensabile, perché il mondo, che noi viviamo come sociale, non può essere semplicemente inteso come puramente psichico o puramente fisico.
[Tale sfera consiste] in una catena relativamente infinita di eventi che accadono nel tempo. [Ne deriva che] non ci può essere una somatologica della società, perché non esiste un soma
Wiese L. von, Sistema di sociologia generale, 1 voll. (1924 e 1928), tr. It., UTET, Torino 1968 (39, 266)
E dunque senza soma (corpo) sociale la società altro non sarebbe che il mero insieme di processi, relazioni e formazioni derivanti da questi.
Vale la pena qui spostarci su di un grande classico: Tonnies distingue tra Gemeinschaft (Comunità) e Società ( Gesellschaft). Si tratta di una distinzione molto gustosa, che vedremo di approfondire in altra sede, ma che fondamentalmente vede la prima come un modello di convivenza fondato su valori ancestrali di sangue, di costumi e persino di missione mentre la seconda, la nostra società, su roba futile e utilitaristica, poco solida, una mera convenienza contingente. Una visione antilluministica, forte del titanismo romantico, nazionalista e volontari sta. Infatti due volontà starebbero alla base della distinzione: la Wesenwille (volontà essenziale, alla base del principio comunitario) e la Kurwille (volontà arbitraria, alla base del principio sociale).
[La volontà essenziale] è l’equivalente psicologico del corpo umano, cioè il principio della unità della vita
[La volontà arbitraria] è una formazione del pensiero [cioè che possiede] una vera e propria realtà soltanto in relazione al suo autore
Tonnies F., Comunità e società (1935), tr. It., Comunità, Milano 1978 (35, 29)
Tonnies dà una carica abbastanza negativa alla società e alla volontà arbitraria, tanto da vedere gli associati
[come] una cerchia di uomini che, come nella comunità, vivono e abitano pacificamente l’uno accanto all’altro, ma che sono non già essenzialmente legati, bensì essenzialmente separati, rimanendo separati nonostante tutti i legami, mentre là rimangono legati nonostante tute le separazioni.
Tonnies F., Comunità e società (1935), tr. It., Comunità, Milano 1978 (35, 83)
Mentre dunque accordi contrattuali, utilitaristici sarebbero il fondamento di una solidarietà, per Tonnies, “pelosa” tipizzante la società, alla base della comunità ci sarebbe una sana comprensione, ovvero
la particolare forza e simpatia sociale che tiene insieme gli uomini come membri di un tutto
Tonnies F., Comunità e società (1935), tr. It., Comunità, Milano 1978 (35, 62)
Nisbet, rilevando questa visione critica di Tonnies della società come degenerazione moderna della comunità (e dunque come mera forma di relazione e non di qualcosa di reale), scrisse che
La significativa preoccupazione per la comunità che si rileva nel pensiero moderno […] è la manifestazione di sfasamenti profondi nelle aree associative primarie della società, sfasamenti che sono stati creati in larga misura dallo Stato politico dell’Occidente.
[…] Gran parte del carattere peculiare dell’azione sociale contemporanea proviene […] dagli sforzi degli uomini per trovare in organizzazioni su vasta scala quei valori di status e sicurezza che trovavano prima nelle associazioni primarie della famiglia, del vicinato e della Chiesa.
Nisbet R. A., La comunità e lo stato (1953) tr. It. Comunità, Milano, 1957
Sottolineando l’importanza dello Stato moderno, un’altra bestia collettiva che spesso è confusa volgarmente con la società, la nazione, la comunità, ecc.
Zygmunt Bauman va citato almeno per l’indicizzazione, ma ci ha dato una ampia definizione di società per la tradizione marxista:
una particolare unione di individui, una unità cioè nella quale esistono accoppiamenti fra tutti gli individui.
[…] Il saldarsi della rete degli accoppiamenti ha luogo quando […] si creano istituzioni determinate, cioè modi ripetibili del comportamento collettivo, saldati e controllati socialmente.
Bauman Z., Lineamenti di una sociologia marxista (1964)
Tale rete, rafforzandosi, diventa al struttura sociale, che non è però mai immutabile
[…] Da quando, però, è caratterizzata dallo stesso predominante rapporto di proprietà dei mezzi di produzione, si può affermare che non ha mai cambiato tipo
E infine che
Il criterio differenziatore più semplice di ogni formazione socio-economica risiede nel tipo del rapporto di proprietà, in senso lato, che determina il modo in cui sono soddisfatti i bisogni umani, nel quadro di una data società.
La visione marxista, si sa, ha in sé una ostilità storica per la sociologia (le vicende personali del Covatta nel ’68 lo testimoniano) . Interessante allora chiamare in causa le ceneri di Gramsci:
Tutte le quistioni della sociologia non sono altro che le quistioni della scienza politica [e le] cosiddette leggi sociologiche sono quasi sempre tautologie e paralogismi.
Gramsci A., Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce (1948), in Opere, vol. II, Einaudi, Torino 1952
Una argomentazione che veniva fuori dall’idea che la società non abbia una realtà al di fuori della azioni politiche che tendono
A far uscire le moltitudini dalla passività; cioè a distruggere la legge dei grandi numeri.
Di qui l’impossibilità di
Costruire una sociologia, intesa come scienza della società, cioè come scienza della storia e della politica, che non sia la stessa filosofia della prassi.
Filosofia della prassi che non dovrebbe essere altro, per il marxista-gentiliano sardo, che il marxismo stesso, con la sua anche risibile teleologia della storia.
Più interessante di certo in campo marxista la visione di società come totalità tipica della Scuola di Francoforte.
Quello che si intende col termine “società” non è dotato di una razionale continuità. Non è neanche l’universo dei suoi elementi, non è una categoria solo dinamica, ma funzionale. [Se la società] non è un concetto che possa essere astratto dai singoli fatti […], non c’è un solo fatto sociale che non sia determinato attraverso la società.
[La Società è cioè] un blocco universale intorno agli uomini e in essi, un’entità concettuale complementare diversa dall’estensione logica o unità delle note caratteristiche di questi o quegli elementi particolari.
Adorno Th. W., Scritti sociologici (1972), tr. It, Einaudi, Torino 1976 (1, 203)
Infine, torniamo al Levy, per cui una società
È un sistema di azione in operazione che
1) implica una pluralità di individui interagenti […] le cui azioni sono prevalentemente orientate verso il sistema considerato e che sono reclutati almeno in parte per riproduzione sessuale dei membri della pluralità in questione
2)è, almeno in teoria, autosufficiente per le azioni di questa pluralità e
3) è capace di un’esistenza che va oltre il lasso di tempo della d vita di un individuo.
Levy Jr. M. J., La struttura della società (1952), tr. It. Comunità, Milano 1970 (20, 118)
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