“Per l’uomo comune “bello” è più spesso sinonimo di “appetibile”; il termine non si riferisce necessariamente ad una qualsiasi reazione estetica, e sarei tentato di credere che nella mente di molti il sapore sensuale della parola sia più forte del suo profumo estetico. Ho sempre notato una certa coerenza in coloro per i quali la cosa più bella al mondo è una bella donna, e al secondo posto mettono un dipinto che la rappresenti. La confusione fra bellezza estetica e bellezza sensuale non è così grande nel loro caso come si può supporre. Forse non ce n’è punta; perché forse essi non hanno mai provato un’emozione estetica da poter confondere con altre emozioni. L’arte che essi dicono bella, è in generale strettamente connessa con le donne. Un bel quadro è la fotografia di una bella ragazza; una bella musica è la musica che suscita emozioni simili a quelle suscitate dalle ragazze nelle riviste musicali; e una bella poesia è quella che richiama le stesse emozioni provate vent’anni prima per la figlia del rettore.”

Clive Bell, L’ipotesi estetica, da “Art”, Londra, 1914

La notizia dell’apertura di Classic Nudes, un’audioguida museale lanciata dalla piattaforma pornografica Pornhub, dopo l’iniziale chiacchiericcio iniziale, è velocemente passata in sordina, tant’è che ricercando su Google “Pornhub” e “arte” i primi risultati mandano direttamente al sito e ad altro genere di video, mentre bisogna scorrere un po’ per trovare informazioni sull’argomento. 

Non volendo in nessun modo aumentare il flusso di visualizzazioni o supportare il sito, non ho intenzione di vedere lo spot o ascoltare la guida, che alla fine è solo il pretesto per innescare una riflessione. 

“Perché il porno potrebbe non essere considerato arte, ma alcune opere d’arte possono sicuramente essere considerate porno”, questo il claim del video promozionale, dove Ilona Staller interpreta l’icona pop della Venere di Botticelli. 

“C’è un tesoro di arte erotica in tutto il mondo – che ritrae nudi, orge, e altro ancora – non disponibile su Pornhub. Questa arte pre-Internet è custodita nei musei, ora finalmente riaperti con l’allentamento delle restrizioni. Quando le persone si recheranno al Louvre o al MET, possono semplicemente aprire Classic Nudes, e io sarò la loro guida. È ora di abbandonare quelle noiose audioguide e godersi ogni singola pennellata di questi capolavori erotici assieme a me”, spiega la voce narrante delle audioguide, Asa Akira, brand ambassador di Pornhub. 

La proposta dell’azienda è quindi narrare la storia dell’arte che, come ci spiegano, non è niente di così aulico, almeno, non solo, ma è anche la storia dell’erotismo. Citati ovviamente L’origine del mondo di Courbet, la Venere di Urbino di Tiziano o Il bagno turco di Ingres. Sottinteso ovviamente, l’invito a tornare nei musei dopo la pandemia per sostenerli. 

Il “purché se ne parli” effettivamente ha funzionato. Le opinioni e le reazioni sono state delle più varie, tra le tante anche una scomunica dagli Uffizi, dal Prado e dal Louvre che non avevano dato nessuna autorizzazione né al progetto né all’uso delle immagini. 

Tra gli entusiasti per lo “svecchiamento” dell’arte, settore al quale evidentemente non si interessano, e gli indignati per l’affronto di questa, esiste, come spesso accade, una terza via. 

Che in questo caso non è una sintesi. 

Innanzitutto l’arte non è sacra, non lo è mai stata – se non per i vari fedeli, ma sicuramente non in sé in quanto prodotto dell’opera umana -, il genio non esiste e il processo di desacralizzazione è storicizzato e messo su carta da almeno cento anni. L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp è del 1919 e non tratta con molto riguardo la Gioconda, aggiungendole un paio di baffi e la didascalia che fa anche da titolo, “lei ha caldo al culo”. Ancora prima, nel 1914, Kazimir Malevich (esatto, quello del quadrato nero) in una composizione inserisce una riproduzione della Monna Lisa segnata da una bella e sbeffeggiante X rossa. E qua chiudiamo il primo discorso. 

Per quanto riguarda gli entusiasti, penso ci sia poco da aggiungere e molto da compatire se l’esaltazione per i musei, sulle quali opere e sul loro erotismo parleremo a breve, prescinde dalla loro appetibilità pornografica. Più che un problema di sacralità, è un problema societario di pornomania, dove perfino al museo, per godere delle opere, bisogna essere accompagnati da una sensuale voce che ci ricordi che quelle donne nei dipinti sono assimilabili alle loro pornostar preferite, a disposizione dell’occhio dell’artista e, nel 2021, anche del loro. 

C’è qua un nodo importante ed è il motivo per cui in realtà il parallelo arte e porno risulta sensato. Sebbene nell’arte si possa parlare più di erotismo che della meccanica e assuefacente pornografia, anche in opere che lasciano poco spazio all’immaginazione come I Modi di Giulio Raimondi, basati su dipinti di Giulio Romano, appare chiaro il leit-motiv che li lega. 

I ruoli dell’osservatore e dell’osservato sono sempre gli stessi: l’uomo guarda e dipinge, la donna viene guardata e viene dipinta. 

Prima che parta l’embolia da dittatura del politicamente corretto, preciso che pure queste riflessioni sono storicizzate e messe su carta. Dalla nascita del femminismo per la precisione, se qualcuno si prendesse la briga di leggere i testi – non solo i più recenti ma anche a partire da Wollstonecraft e Mozzoni, per dirne due. L’oggettivizzazione della donna è sempre fatta presente, con più o meno attenzione ovviamente, ma nessuna ha mai amato il ruolo da statuina che le è stato assegnato. 

Proprio da quel femminismo che oggi ci piace tanto ricordare come “quello che combatteva per i diritti veri, mica come quello di oggi”. 

Più avanti nel tempo, quando il femminismo è diventato una vera e propria corrente politica e filosofica, si sono sviluppate riflessioni – e azioni -, nel campo della rappresentazione e della raffigurazione delle donne. 

Do women have to be naked to get into the Met Museum?”

Le donne devono essere nude per entrare al Met Museum? Questa è la domanda che hanno posto le Guerrilla Girls nel loro ormai iconico poster del 1989. 

“Less than 5% of the artists in the Modern Art sections are women, but 85% of the nudes are female.”, continua il testo. Meno del 5% nella sezione di arte modera sono artiste, ma l’85% dei nudi sono di donne. 

Le Guerrilla Girls sono un gruppo nato nel 1985 attivo tutt’oggi di artiste ed attiviste femministe. La loro identità resta anonima, protetta da maschere dalle sembianze di Gorilla, e prendono i nomi da artiste del passato. Il loro scopo era evidenziare le contraddizioni e il sessismo insito nella storia dell’arte e cercare di promuovere artiste donne nel circuito dell’arte contemporanea, intersecando anche il tema del razzismo. 

Nella loro prima uscita pubblica, nel 1894, affiggeranno abusivamente durante la notte dei poster che denunciavano le percentuali di artiste e di artisti non bianchi in una recente mostra retrospettiva del MoMa. Su 169 artisti solo 13 erano donne e ancor meno le persone di colore. 

Questa prima azione ha innescato una serie di riflessioni nel e sul mondo dell’arte, ancora oggi fortemente misogino, sia per quanto riguarda le artiste che le professioniste. Basti leggere l’intervista a Gian Enzo Sperone rilasciata recentemente a Finestre sull’Arte, dove le donne che lavorano sul campo vengono etichettate essenzialmente come bamboline di bella presenza con cui approcciare gli artisti. 

L’attività delle Guerrilla Girls è prevalentemente attiva nel campo della comunicazione, poster, locandine, lettere e anche libri, che loro chiamano “Public Service Messages from the Guerrilla Girls, conscience of the art world”, come se fossero dei veri e propri bollettini.

Ed in effetti anche il loro più famoso poster del 1989 viene aggiornato periodicamente. L’ultimo resoconto è del 2011 e le cose non sembrano molto migliorate. Nelle sezioni Moderna e Contemporanea solo il 4% sono artiste e il 76% dei nudi sono femminili. Ci sono meno nudi femminili, ma ci sono anche meno artiste donne. 

L’esaltazione della bellezza e dell’eroticità della donna, al pari di un paesaggio, di un’opera architettonica o di una fotografia, non è altro che l’ennesima gabbia che ci confina al rango di oggetto di design, nonostante secondo la narrazione maschile-universale ci dovrebbe esaltare in una qualche maniera non ben precisata che va dalla donna angelicata alla pornostar, tutte nello stesso calderone senza distinzioni. 

Non perché una donna a seconda delle proprie scelte o condizioni debba essere più meritevole di un’altra di esaltazione, ma proprio perché questo “senza distinzioni” rende la donna, qualsiasi donna, in qualunque contesto, un oggetto dello sguardo maschile costantemente sottoposto all’ipersessualizzazione. 

Se l’arte è la rappresentazione visiva dell’intera storia, cultura e tecnologia umana, questa mostra anche i rapporti e le condizioni della metà femminile. 

Eliminata l’esistenza della donna come soggetto, è inevitabile che questa venga rappresentata, da sempre, come la più viva delle nature morte.