Non è che non si debbano avere dubbi sul green pass. Ciò che serve è la vigilanza di una cultura politica solida e critica.

I complottisti non lo sanno (quindi non fateglielo sapere) ma effettivamente qualche vergognoso complotto ai danni della popolazione gli Stati (anche moderni) è stato ordito. Tra i più celebri l’alcool avvelenato negli USA per scongiurarne il consumo durante il proibizionismo. Cossiga mi fece una testa tanta sui miei “bei compagnucci spagnoli” che, per combattere l’ETA, non solo organizzarono squadracce di torturatori e violentatori ma avrebbero incentivarono l’eroina nei Paesi Baschi, similmente a come avvenuto nei ghetti statunitensi o, prima ancora, dall’Impero Britannico in India e Cina.

Alla faccia della statistica, i pochissimi casi di vere cospirazioni diventano indistruttibili capisaldi delle nuove assurde teorie, per meccanismi psicologici che viviamo tutti quotidianamente (come quando si litiga tra fidanzati tirando in ballo i pregressi più comodi, anzi creandosi visioni della propria relazione solo in base alle volte che si è avuta ragione e mai sui propri torti).
La lotta contro le fake news ed i complottismi in generale dovrebbe avere un fondamento sì su di una educazione pubblica ma soprattutto su di una disciplina personale, quotidiana che è l’onestà intellettuale. Che non è l’onestà delle Vergini dell’Himalaya, cioè di chi è puro perché se ne sta lassù con gli Yak, ma l’onestà di chi si mette in gioco.
(Clicca qui per leggere l’articolo di Giuliano Cazzola a proposito)

La disonestà intellettuale è una brutta bestia, molto sottovalutata anche nella pur interessantissima serie di studi accademici sul fenomeno. Sì perché la scienza parrebbe aver evidenziato come ci sia una base neurologica, evolutiva del cospirazionismo: i nostri antenati, prediletti spuntini delle tigri dai denti a sciabola, svilupparono una funzione adattiva della paranoia che avrebbe ridotto vantaggiosamente comportamenti rischiosi.

Ma queste spiegazioni meccaniche hanno una pericolosa comodità di fondo, e la comodità è altra balia del complottismo perché, si sa, i complotti hanno un ché di rassicurante. Pensare che ci sia un grande vecchio, una sinarchia o un alieno a guidare il treno è certamente più rassicurante che rendersi conto che il treno, in realtà, non lo guida nessuno. Gli studi (spesso di atei militanti, ma questo è un altro discorso) associano infatti il complottismo al pensiero religioso, ma più in generale alla teleologia perché non basta la morte di Dio per liberarsi dalle proprie debolezze.

Ma tra neurologia evolutiva e paura della valle di lacrime siamo sempre in un campo deresponsabilizzante. Poveri portuali di Trieste, in balìa dell’Horror Vacui e della disintermediazione.

Eh no, nei complottisti c’è una forte dose di responsabilità personale, di cattiveria oserei dire.
Le fallacie logiche che ci si trova ad affrontare sistematicamente quando si parla di vaccini, di euro, di immigrazione e via cantando non sono semplicemente frutto di una scarsa scolarizzazione o di una insufficienza della formazione universitaria di massa (soprattutto se andiamo a considerare lo spirito di corporazione che ha portato numerosi alti accademici a prender posizione contro il green pass). Quel pensiero circolare, quel backfire effect per cui più prove vengono portate contro una teoria e più il complottista si arrocca, addirittura rafforzando sempre più l’idea che chi ha di fronte è marionetta o complice della cospirazione, non si può ridurre a una mera vestigia filogenetica, come il coccige che non abbiamo perso insieme al resto della coda.

C’è arroganza e c’è malafede. Il complotto generale giustifica lo sbraco personale: “so’ tutti ‘na pasta”. Questo lo abbiamo visto orribilmente alle origini del Movimento 5 stelle. Grillo è l’esempio perfetto di energumeno che, dal palco-cattedra, ha preparato per anni l’humus da cui poi raccolse i pessimi frutti che vediamo oggi nelle istituzioni. È la superbia che portava Grillo a sponsorizzare una palla di ceramica alternativa ai detergenti, non la stupidità o l’ignoranza.

Così come c’è stata arroganza eurocentrica nei governi che non hanno preso esempio, ad esempio, dalla Corea per quanto riguardava il tracciamento dei contagi o le campagne di educazione (qui in Italia poi, a parte di lavarci spesso le mani durante il lockdown, non una pubblicità progresso su vaccini, comportamenti profilattici…)

I meccanismi nocivi della satira, della comicità in generale, che portano il pubblico a ridere in coro di una persona o di una idea, facendoli sentire forti, legittimati ma soprattutto simili fra loro e migliori dell’altro, è sempre stato un ingrediente centrale nell’abbattimento del pensiero critico.

Persino la satira contro il complottismo è nociva. Sui social anni e anni fa nacquero numerose pagine satiriche per sbertucciare i complottisti. Queste, come la satira antiberlusconiana, hanno solo allargato la frattura umana con le vittime e, di contro, irrigidito i non-complottisti su di un ottusa fiducia nell’Autorità, per meccanismi di sfida altrettanto ridicoli.

Era più semplice, perché dieci, quindici anni fa le teorie del complotto in voga erano molto più estreme di quelle odierne. Storie mirabolanti, altra componente vantaggiosa del pensiero complottista: la forza immaginifica. Terra cava abitata da rettiloidi che ci governano da millenni, alieni che rapiscono SOLO i pochi uomini dotati di anima (quindi chi non crede è perché non ha subito e non ha subito perché non ha anima), eccetera eccetera. I grillini inizialmente erano pieni di gente con queste idee (microchip di controllo, sirene…) ma eliminando queste hanno solo aumentato la propria banalità non certo incrementato la serietà. Dibattista, come invasato, è nettamente più divertente dello sconfortante Di Maio ma sono egualmente inconsistenti.

C’è poi un aspetto che trovo interessante. La maggior parte di questi novax, così come dei complottisti in generale, sono figli di quelle sottoculture alternative, spesso new age, orientaleggianti che iniziarono a maturare negli anni ‘60 e che negli anni ‘80 erano diventati una realtà molto diffusa soprattutto nei nuovi ceti medi, le gocce d’acqua della mitica Onda Lunga elettorale di Craxi. Al fianco dei più seri scienziati politici del dopoguerra.

Ma pensiamo anche alla Nuova Sinistra perseguitata dal PCI, come Rostagno e i suoi che misero in piedi la comunità di recupero Saman, legata agli arancioni di Osho. Pensiamo allo splendido Antonio Craxi, fratello di Bettino, referente di Sai Baba in Italia. Pensiamo al pensiero olistico dietro l’influentissimo genio di Panseca, che ancora oggi sogna di piazzare lune artificiali ma depuranti nei cieli delle nostre città.

Se guardiamo ancora più indietro, nell’Ottocento, il mago Eliphas Levi era anche lui un compagno, così come la teosofa Blavatsky combatté con Garibaldi, eccetera eccetera…

Il gusto socialista per l’eresia convinceva ma soprattutto integrava certe bizzarrie che oggi impazzano e si fascistizzano.

Il disastro odierno sembra provenire, al di là di ogni studio sociologico o neurologico, da quel narcisismo di cui parlava Lasch. Gli individui rinunciano a tutto ciò che comporta una “inefficienza” economica, emotiva, temporale come libri, cinema, figli, relazioni, e si chiude nel proprio Io Minimo, sentendosi assediato da una realtà minacciosa che non riesce più a interpretare (e questa realtà si può chiamare COVID per i novax come novax per i piddini).

Avviene infine che, mentre gli acritici del PD si trincerano dietro i virologi televisivi, dietro gli acritici no vax si erge un pensiero convincente e autorevole come quello di Agamben. Così come i no pass più equivoci strumentalizzano i sani dubbi di Cacciari.

Ma quali voci dialogano con Agamben e Cacciari a favore del green pass?

Serve un pensiero politico in grado di dialogare con le eresie. Ovviamente qui si propone la tradizione socialista italiana.