Il referendum sulle trivellazioni è alle porte, e la segreteria del Pd sembra orientata a consigliare l’astensione (come del resto era prevedibile, dopo che il governo aveva deciso di non celebrarlo insieme con le amministrative): e puntualmente riaffiora la retorica sulla correttezza politica della campagna astensionista.
E’ curioso che questo capiti in un paese in cui si dà per scontato – quasi fisiologico – che il 40% degli aventi diritto si astenga dal voto in occasione delle elezioni politiche. E’ invece fuorviante che – nel caso dei referendum – la partecipazione al voto sia considerata quasi un dovere civico, mente invece l’opzione astensionista è fra quelle che contempla la “Costituzione più bella del mondo”, che non a caso in questo caso fissa un quorum.
I precedenti, del resto, ci sono: e per la verità non sono tutti favorevoli agli astensionisti, come noi per primi sappiamo fin troppo bene. Ma è difficile immaginare che Renzi resti vittima dello steso boomerang che colpì Craxi nel 1991.
Più interessante, invece, è riflettere sulla garrula spensieratezza con cui una decina di consigli regionali (quasi tutti a maggioranza Pd) il referendum lo hanno promosso: che cosa non si fa per un pugno di voti!