Uno sconcerto finora muto domina le redazioni dei media italiani da quando, nove mesi fa, i mandati di cattura della Procura della Repubblica di Roma hanno portato all’onor del mondo i volti e gli intrecci sociali e politici di Mafia Capitale.

Come è stato possibile, ci si chiede, che non si siano accorti di quello che accadeva? Che non ve ne sia traccia nei giornali e nelle interviste e talk show radio e televisivi, in tutte quelle pagine e spazi e
rubriche quotidiane e settimanali, da anni – e così efficacemente, e con tanto successo di pubblico – presentate, spesso in diretta, come la “verità”, come la “realtà”? E questo a Roma e a ridosso della politica, in ambienti non molto lontani da quelli frequentati dai più vari operatori dell’informazione locale e nazionale.
Domande ruminate nel disappunto, e finora senza risposta, fra le quali in questi ultimi giorni, dopo il successo della puntata di “Porta a porta” con due esponenti della famiglia Casamonica, si è venuto insinuando il rammarico per i risultati di vendita e di ascolto che si sarebbero potuti cogliere a suo tempo, e che non furono neppure tentati: un rammarico che a suo modo trapela dai vocaboli scelti e dai toni in crescendo di servizi e commenti che lasciano pochi dubbi sull’effetto liberatorio, quasi catartico per alcuni, dell’ennesimo alloro conseguito da Bruno Vespa: l’enfasi sull’incremento dei dati d’ascolto rispetto alla puntata del giorno prima con Renzi; il “video sfondato”; “il vento impetuoso del trash” che “schiaccia intenzioni e critiche” dentro e fuori lo studio TV; “Il pop. Il trash. Il kitsch” evocati tutti insieme associando la “simpatia un po’ burina degli ospiti” alla “Terza Camera della seconda Repubblica” (ma in Parlamento, diciamo la verità, si era visto di meglio). A riprova del successo che nella comunicazione mediale assicura la miscela sapiente dei registri “alti” e “bassi” (magari con esiti  involontari, ma lì sta l’arte!).

Qualcosa come una rinfrancata consapevolezza delle risorse disponibili e delle capacità accumulate negli anni – “lasciateci fare il nostro mestiere!” – affiora nelle polemiche che ne sono seguite, e sembra annunciare la riscossa di una professione giornalistica messa a dura prova dalla crisi dell’industria editoriale a stampa e del duopolio pubblico-privato della televisione nazionale: ma soprattutto dal tracollo della sua credibilità presso lettori e utenti, dopo decenni di appartenenze, contiguità, riferimenti ai partiti e alle aree politiche della seconda Repubblica, oggi in crisi terminale.

Nel “mondo di mezzo” (soprattutto negli incerti territori ai margini della legalità finora inesplorati, così diffusi e popolati) si intravvedono nuove opportunità di informazione, spettacolo e successo. Una realtà tanto più interessante quanto finora (tenuta?) lontana dal flusso omologante dei media: con le sue plebi e, a saperle contattare e coinvolgere, le sue aristocrazie, di cui è possibile attingere volti e parlate e umori inediti, rinnovando così il prodotto e il rapporto con il pubblico, fino ai fasti degli indici di ascolto. Solo che non se ne sia impediti: solo che i giornalisti e tutti gli operatori dell’informazione sappiano respingere a piè fermo “l’assalto di una politica ormai agonizzante”, che anche in questa occasione non ha mancato di reagire e protestare.
E’ significativo che questa riscossa professionale muova da una trasmissione della Rai. Per chi ha a cuore le sorti del servizio pubblico di radiotelevisione è importante che esso si confermi palestra di libertà e presidio delle opportunità di innovazione, ormai residuali nel contesto del duopolio, e così minacciate da pregiudizi e condizionamenti impropri. Si può essere sicuri che su questa nuova strada – che segnerà, lo sappiamo, una nuova, significativa, tappa nell’esperienza italiana della comunicazione politica, si saprà andare presto oltre il frame, oltre la cornice sociale e linguistica in cui si è inscritta questa prima prova, in qualche modo condizionandola: non certo ospitando in studio pregiudicati o condannati (neanche a dirlo), ma portandoci in casa non solo i paesani.