“Un giorno in Pretura” era il titolo di un programma televisivo che alla fine degli anni ’80, in prima serata, dava conto di come si amministrasse la giustizia relativa a reati bagattellari quali erano appunto quelli di competenza dei Pretori. Poi, nei fantastici anni ’90, il format tornò utile per narrare l’epopea di Mani Pulite e dintorni: forse sarebbe stato meglio chiamarlo “Un giorno in Procura”, e comunque retrocesse in seconda serata.

Ora invece potrebbe recuperare posizioni nei palinsesti, e addirittura occupare gli spazi dei telegiornali. Che dire infatti del clamore con cui i medesimi (ed i quotidiani) si occupano di “inchieste” come quelle sui 5 stelle a Palermo e su De Luca a Napoli? A parte la diffidenza per “il più puro che ti epura”, è davvero così grave avere falsificato qualche firma in calce a una lista che poi ha comunque ottenuto decine di migliaia di voti? O non si tratta di uno dei tanti episodi in cui il legalismo burocratico pretende di prevalere sulla legittimazione democratica? E per quanti voti di scambio avrei dovuto essere considerato responsabile io, quando in campagna elettorale promettevo miglioramenti delle pensioni, tutele più efficaci del diritto allo studio o  realizzazioni di opere pubbliche, magari offrendo pure uno snack? E davvero c’è chi pensa possibile fare del clientelismo parlando a una platea di 200 sindaci? Per non dire dell’ineffabile presidente della Commissione antimafia che si è affrettata a chiedere le carte di un’inchiesta appena avviata.

In quest’ultimo caso si dirà che Rosi Bindi è stata obbligata a procedere da un voto della Commissione che presiede. Ma i presidenti di  commissione esistono anche per verificare l’ammissibilità delle mozioni prima di metterle in votazione: per esempio eccependo che la Commissione antimafia non è la Santa Inquisizione, e nemmeno un collegio dei probiviri che debba valutare la correttezza politica di un comizio.

Ma tant’è: dopo i drammatici “giorni in Procura” dei primi anni ’90, si sta tornando ai “giorni in Pretura”. E non c’è bisogno di essere assidui lettori di Carlo Marx per ricordare come la pensava lui sugli episodi storici che si ripetono.