Una porzione non piccola della sinistra è pregiudizialmente ostile nei confronti dei presidenzialismi, considerati come sistemi autoritari e/o al servizio di lobby e “padroni”. Per altri si tratta di un assetto “non adatto” all’Italia, per via, ad esempio, dell’ “anomalia” rappresentata da Berlusconi. Sul versante dei sostenitori di tale ipotesi, alcuni la considerano la via regia verso una democrazia governante; altri, più cauti, ricordano che il funzionamento delle istituzioni va valutato empiricamente, tenendo conto dei vari contesti nazionali e dell’humus culturale corrispondente. È con tale spirito che tanti anni fa Valerio Zanone ebbe a dire: “non vorrei che, sognando gli Stati Uniti, ci svegliassimo in Sudamerica”.
Il “modello” francese appare così, oggi, come l’abito migliore per il nostro Paese. Tra l’altro già da anni, da noi, negli enti locali vigono il doppio turno e, nel contempo, l’elezione diretta del capo dell’esecutivo. Resta forse da definire meglio, al livello nazionale, l’eventualità della coabitazione del presidente con una maggioranza parlamentare e con un governo e un primo ministro, espressioni di essa, di altro orientamento politico. E, più in generale, l’equilibrio fra i “due motori” dell’esecutivo.
Un’altra obiezione, dal forte sapore demagogico, opposta a tale ipotesi è che i cittadini… non mangiano riforme istituzionali. Ma non si dice sempre, e a ragione, che non riusciamo a “fare sistema” e che ciò ci rende assai meno reattivi di altri dinanzi alla crisi? Ovviamente è legittimo sostenere proposte di riforma più circoscritte: dalla semplice revisione della legge elettorale alla riduzione del numero dei parlamentari, fino alla differenziazione del ruolo delle Camere. Tuttavia, ci si può chiedere, perché considerare il (semi)presidenzialismo come un tabù o come un oggetto adatto solo per i convegni?
È opportuno riflettere e ragionare sul titolo di un libro del 1989 del compianto studioso Umberto Cerroni (legato al Pci): Regole e valori nella democrazia. Come dire: forme e contenuti di essa. Davvero si ritiene che la forma di una repubblica presidenziale comprometterebbe ora l’esistenza e lo sviluppo della nostra democrazia? E quali forme consentirebbero di uscire dalla palude odierna e di avanzare, come direbbe Cerroni, lungo la strada del diritto, della coesione sociale e della cultura?