Dinanzi ai fatti e ai personaggi della storia ci si può porre in due modi; dire è acqua passata, oppure provare a capire. E’ stato importante, negli anni ’80, cercare di superare l’immagine mitologica del partito “di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer”: non rimuovendo, piuttosto discutendo. A tale dibattito contribuì ad esempio il volume di Giuseppe Fiori Gramsci Togliatti Stalin, del 1991. A pagina 1 vi è una citazione di Norberto Bobbio, il quale, evocando Benedetto Croce, sosteneva che “l’importante di un libro è ‘nell’aver saputo invecchiare, cioè nell’aver promosso nuovi pensieri’”.
E nuovi pensieri non nascono né dall’agiografia e dalla celebrazione soltanto emotiva di eventi e protagonisti, né ignorandoli. Eppure oggi scorgo entrambi questi rischi: un ricordo di Berlinguer legato quasi solo all’affetto, una sorta di autocensura su Togliatti. Perciò considero importante il recente saggio di Emanuele Macaluso Comunisti e riformisti – Togliatti e la via italiana al socialismo. Pur non concordando su diversi passaggi e su alcune tesi di fondo, infatti, esso ha il merito di suscitare delle domande sul ruolo del leader comunista nella rifondazione della sinistra italiana del dopoguerra.
Balle!
I comunisti in Italia hanno difeso i lavoratori solo per arrivare al potere e una volta arrivati a comandare stiamo vedendo lo sfacelo della Repubblica.
Per molti che votavano ieri il PCI oggi non lo votano più e considerano gli (ex)comunisti dei traditori nei confronti del popolo. Gli (ex)-comunisti berlingueriani sono solo dei giustizialisti opportunisti e dimostrano che con la democrazia hanno poca dimestichezza. Questi sono i motivi che mi fanno ritenere opportuno di riportare sul mercato il PSI con il sole nascente, la falce, il martello e il libro e se ritornassimo a leggere approfonditamente J.M.Keynes potremmo ben conciliare con quei simboli la teoria economica dell’occupazione e del lavoro.