Oggi più che mai forma e contenuto sono fittamente intrecciati. E, come noto, Marshall McLuhan (con altri) ci ha insegnato grosso modo che le diverse fasi di sviluppo di una civiltà corrispondono a quelle dei mezzi di comunicazione. E inoltre, per certi versi, “il mezzo fa il messaggio”, senza con ciò togliere nulla alla “sostanza” e alle differenze. La “politicità”, per così dire, dei fenomeni politici resta, né si può ridurre la politica a mass-mediologia. Però, come ha notato Luigi Covatta nel suo libro dedicato ai Menscevichi, al ’68, caratterizzato da una sorta di “rivoluzione etica”, seguì la “rivoluzione estetica” degli anni ’80, con il pieno affermarsi della videocrazia. E Bettino Craxi più di altri comprese ciò.
Paolo Franchi, dal canto suo, ricorda, nella biografia del presidente Napolitano, la figura dei “bottegologi”, i giornalisti più ferrati nel decodificare il dibattito interno al Pci (erano detti pure “comunistologi”; anche per gli esperti sulle vicende di oltre cortina vi erano dei sinonimi, quali “cremlinologi” o “sovietologi”).
La mia domanda ora è: la sensazione di spaesamento dinanzi alle ultime vicende politiche nazionali non dipenderà anche dal quasi improvviso venir meno di tutti i “rituali” (ad esempio quelli di partito) con i quali siamo cresciuti? E a motivo di ciò non potremmo scorgere fra l’altro i nuovi mezzi, da Streaming a Twitter? Ricordo che ancora negli anni ’80 si potevano rilevare le varie “sensibilità” del Pci leggendo fra le righe, sull’Unità, i testi degli interventi alle riunioni del Comitato centrale: Armando Cossutta e i suoi, poniamo, parlavano di “fuoriuscita” dal capitalismo, i più (ingraiani compresi), invece, usavano la parola “superamento”; i miglioristi neppure quella. Oggi i codici sono mutati e l’interpretazione delle posizioni di Renzi, per dirne una, è affidata ad altri strumenti.
Su tutto ciò occorrerà forse riflettere meglio.