Di questi tempi rifiutiamo concetti quali Ragione o Verità: ammettiamo che si può solo descrivere quanto ci circonda e avviene, e conseguentemente tollerarlo. Solo l’opinione è ritenuta ammissibile. Ma questo modo di intendere è per definizione senza prove: sono opinioni. Cosa diversa sarebbe ritenere la Verità sempre incerta, incompleta. La scienza è congetturale, sempre ipotetica, perché in attesa di una conoscenza migliore: ma rimane uno dei più grandi risultati dell’umanità. Al contrario il pensiero corrente richiede di rendere legittime tutte le tesi, anche quelle inconsistenti o più distruttive sul piano pratico: se non c’è Verità ma solo opinioni non posso contrapporre nulla alle argomentazioni dei barbari. E’ un modo di ragionare, si fa per dire, subalterno all’ignoranza, all’intolleranza. Sul piano dell’etica conduce all’accettazione di ogni comportamento pubblico, a legiferare in osservanza delle smanie individuali. Ma senza un noi che travalichi le appartenenze non possono valere i diritti di libertà, eguaglianza e fraternità. Anche se non potremo mai accedere ad una Verità ultima abbiamo la necessità di principi che garantiscano la difesa dagli intolleranti. La tolleranza delle visioni particolari non è accettazione: perché esistono un più e un meno fondati sul rispetto reciproco, almeno quando si dispiegano nei loro confini territoriali e la valutazione scientifica resta con noi.
In Europa il principio di tolleranza era riuscito ad arginare guerre religiose che l’avevano spopolata. Fu un successo che dovette molto alle elaborazioni intellettuali dell’epoca – Hobbes, Spinoza, Grozio, Leibniz, Locke – riprese poi da Montesquieu, dagli enciclopedisti, da Kant. Servì a capire come le ideologie non debbano intervenire nella pratica politica quotidiana. Dovremmo riannodarci a quel filone di pensiero, che invece si vorrebbe rendere solo uno dei tanti. L’idealismo ha successivamente sviato quel percorso e ne ha selezionato delle parti a fini tutt’altro che liberali, democratici, fraterni: facendo prevalere un pensiero ideologico con tutto quello che ne è conseguito. E ne consegue ai giorni nostri.
I Cinque Stelle partecipano alle elezioni ma non riconoscono legittimità all’istituzione parlamentare eletta dal popolo. La loro ideologia non nasce dal nulla ma si connette linearmente agli idealisti che massacrarono le conquiste dell’illuminismo: i giacobini definivano il sistema parlamentare una forma di dispotismo. Volevano che i comitati popolari da loro diretti controllassero e orientassero i lavori del Parlamento con risoluzioni da applicare, non da discutere. Volevano, e per un certo tempo ottennero, la trasformazione degli eletti in portavoce sempre revocabili. Chi si opponeva era un corrotto da eliminare.
Ieri i comitati popolari, e su quella via i partiti guida e il centralismo democratico. Oggi internet come unico luogo di decisione controllato da incontrollabili. Quella dei grillini non è una novità, è una ideologia che riemerge con forza nei periodi difficili e che garantisce il disastro civile ed economico delle società che la accettano. Che non sia un fenomeno recente, per evitare una meraviglia che impedisce di capirlo, basterebbe leggere quanto scriveva Lev Sestov nel 1920 in un suo breve libro (Che cos’è il bolscevismo, La Scuola, 2017) che coglieva da subito l’essenza tragica dello Stato che i bolscevichi, eredi dei giacobini, andavano costruendo.
Pensare che da noi in tanti hanno aspettato la caduta del muro di Berlino per convincersene: ma senza abbandonare le loro teorie interpretative. Le parole di Sestov possono essere prese per intero per leggere il fenomeno grillino: leader ignoranti ma presuntuosi che fanno dichiarazioni contrarie alla scienza, incapaci di amministrare, che lasciano le cose come stanno o le fanno marcire, salvo prospettare un paradiso di là da venire. Scriveva Sestov: “Sono in realtà degli idealisti più ingenui. Secondo loro le condizioni reali della vita umana non esistono. Sono convinti che la parola possieda una forza sovrannaturale […] Una forza ostile a tutte le idee di progresso […] Hanno ereditato una pletora di enti, dove ci sono dieci volte più impiegati di quanto occorra e su dieci enti se ne trova a malapena uno che serva a qualcosa […] Un’enorme quantità di donne e uomini incapaci e senza coscienza cui è del tutto indifferente lodare non importa chi e dire non importa cosa è risalita alla superficie e con la sicumera propria dell’ignoranza e dell’incompetenza non vogliono imparare ma insegnare”. E quando sono messi alle strette replicano con “interminabili interventi sul futuro paradiso”.
Per Sestov purtroppo “viviamo in un’epoca in cui non è possibile ragionare avendo per guida il buon senso […] Uomini che ancora ieri lavoravano insieme a un’opera comune, che edificavano la torre gigantesca dell’Europa da essi concepita, cessano oggi di comprendersi e sognano con accanimento una sola cosa: distruggere, far crollare, trasformare in polvere quanto avevano creato con pazienza e tenacia”. Quelli del no a ogni riforma, perché ci guadagnano o ci impigriscono, l’intellighenzia che invoca onestà, felice di questa sua disposizione, desiderano mantenere lo status quo e hanno ben compreso chi glielo garantisce. Non sarà però un paradiso, e nei tempi a venire si guarderà con altri occhi la nostra stupidità, con il sarcasmo del senno di poi. Ma è storia che si ripete.