Ho seguito la presentazione a Milano del libro di Fabrizio Barca “La traversata“.
Barca fa un ragionamento semplice, che coniuga la passione politica giovanile con l’irritazione dell’alto funzionario dello Stato nei confronti dei partiti politici a lungo inadeguati nell’arte di governo.
La prima leva è quella dei cambiamenti radicali.
La seconda è quella dei cambiamenti compatibili.
Entrambe sono la consapevolezza della irrinunciabilità del vero riformismo (che è l’opposto della filosofia del “tanto peggio tanto meglio” e del “tatticismo come professione”).
Pensa Barca (in linea con la Costituzione) che senza i partiti non ci sia condizione di sviluppo democratico e di raccordo equilibrato tra istituzioni e società.
Pensa però Barca – avendo un certo nome, un certo bagaglio di conoscenza, un certo pulpito di credibilità – che non meriti più di perdere tempo invocando l’autoriforma della politica. Autoriforma che, a causa del successo,  a destra e a sinistra,  dell’arte del galleggiamento,  non verrà più sulla base dei percorsi inerziali che quei partiti stanno svolgendo.
Da qui la decisione di investire tempo ed energie intellettuali per stimolare il cambiamento dell’unico partito esistente erede della cultura riformatrice in cui lavoro, giustizia, coesione siano i riferimenti fondanti di una politica adatta al terzo millennio. Un PD tuttavia diverso – per qualità del dibattito interno, per rimozione dell’occupazione burocratica dei poteri, per radicamento nel territorio al servizio di istituzioni con cui mantenere rigorosa separatezza – da quello attuale.
Barca ricorda alcuni esempi della cultura politica italiana. E a chi lo sente, a Milano, ricorda il gruppo dirigente socialista che tenta di rianimare il PSI dopo la crisi della metà degli anni ’70 e che, sulla scia del Rapporto Giannini del 1979, torna a spingere per la riforma dello Stato.
Tanto che Barca include nel suo pantheon un pezzo di cultura liberale (repubblicana), un pezzo di cultura cattolica (secondo me ci stavano meglio i fanfaniani o i basisti di Marcora del dossettismo che cita), ben inteso un pezzo di cultura comunista (che rappresenta il monito etico berlingueriano ma soprattutto  la severità di gruppi dirigenti applicati e studiosi) e persino il governo di Bettino Craxi (citato per nome e cognome,  a Milano, da Feltrinelli in  piazza Duomo, a due passi dal famoso “covo” craxiano del n. 19) per dire che con la fine di quel governo e quindi  non al di là del 1986, è venuta meno – cioè è uscita dall’ordine del giorno – la tensione a cambiare i partiti per cambiare la qualità della politica e la modernizzazione delle istituzioni.
La condanna della “seconda Repubblica” è senza riserve, salvo per aver contenuto laboratori che hanno cercato di progettare controcorrente l’aggancio dell’Italia all’Europa (in questo includendo anche “almeno” i propositi del governo Monti).
I due scenari ideali in cui ricongiungere cultura politica e rigenerazione istituzionale sono quello della giustizia (scenario sociale) e quello della concorrenza (scenario economico). Dichiarando che la crisi della politica è  quella di non sapere più regolare la coesione sociale e la crisi del capitalismo è quella di non sapere più promuovere la competitività e l’innovazione.
Barca spiazza così a sinistra e a destra il neo-doroteismo del PD e in realtà di tutte le formazioni politiche galleggianti e autoreferenziali.
Quando deve fare una citazione sui fattori agenti del cambiamento ricorre al liberaldemocratico Francesco Saverio Nitti: “La moltitudine degli uomini non si sposta se non quando le idee si trasformano in sentimenti. Ora perché le idee si trasformino in sentimenti, occorre uno stato di eccitazione, che deriva solo  dalla lotta” (da “Prime linee di un programma del Partito Radicale”, 1907).
Ottiene gli applausi degli astanti, nella soddisfazione degli apparati di non averlo sostanzialmente tra i piedi nella regolazione in corso del potere.
Ora, noi la leva della passione giovanile l’abbiamo conosciuta. Quella dell’irritazione per il doroteisimo-murodigomma pure. L’impazienza del funzionario riformatore (vale anche per ministri e sottosegretari) qualcuno l’ha provata. Sullo spiazzamento a destra/sinistra del PD ci abbiamo fatto più di un pensierino. Fuori dalla conta siamo.
Non varrebbe la pena allora di sintonizzarci con questa discussione?