Attualmente, sono sempre più numerosi i “movimenti” che perseguono un cambiamento della disciplina giuridica delle modalità di gestione dei servizi sociali, ovvero di quei servizi che costituiscono buona parte della protezione sociale (welfare State) esistente, ma il cui universalismo, cioè la sua estensione a tutti i cittadini, oltre a trovare della difficoltà ad essere realmente assicurato, è spesso sottodimensionato rispetto alla desiderabilità dei cittadini sul piano della qualità dei servizi.
In Italia, la gestione delle strutture preposte all’erogazione dei servizi sociali, per meglio soddisfare le aspettative dei cittadini potrebbe essere assegnata alle diverse comunità territoriali. Il “soggetto giuridico” gestore potrebbe essere pensato nella forma di “cooperative sociali”, definite dalla legge che le ha istituite come imprese finalizzate al perseguimento dell’interesse generale senza scopo di lucro. Il maggior gradimento degli esiti dei comportamenti decisionali e gestionali delle cooperative nell’organizzazione dell’offerta dei servizi sociali trova una sua giustificazione negli studi pionieristici di Herbert Simon, di Daniel Kahneman e Amos Tversky. Tali studi sono valsi ad affermare nella teoria economica un diverso approccio al problema della valutazione degli esiti del comportamento dal punto di vista economico; si tratta della we-rationality, la razionalità del noi, con la quale è stato definito il comportamento cooperativo del we-thinking, in alternativa al comportamento dell’agente standard del pensiero neoclassico. Il comportamento del cooperatore dal lato della soddisfazione dei bisogni fondamentali, per le sue stesse caratteristiche cognitive, è definito in termini di propensione a cooperare piuttosto che in termini di propensione a seguire una logica individuale.
In questa prospettiva, supponendo che ogni soggetto abbia un diverso grado di we-thinking, ovvero sia più o meno portato a pensare in termini di “ciò che è meglio per tutti”, piuttosto che di “ciò che è meglio per sé”, il livello di cooperazione tra i soci di una cooperativa può variare. Esso può tendere a zero o risultare maggiore di zero se sono presenti pochi o molti soggetti con un alto grado di we-thinking; ciò dipende da circostanze oggettive, quali per esempio il costo della cooperazione, e da altre di natura soggettive, quali ad esempio la consapevolezza di ogni cooperatore che molti altri soci della cooperativa siano propensi a cooperare realmente.
Il problema critico dell’organizzazione delle cooperative, in generale, e quindi anche delle cooperative sociali, è quello della loro governance, ovvero dell’allineamento costante della loro gestione alle finalità perseguite. Nel caso delle cooperative sociali, tenuto conto della disciplina giuridica che le ha istituite, la governance, risulta essere critica, perchè al loro interno manca la possibilità di distinguere formalmente i soci in quanto associati per cooperare e i soci in quanto titolari di diritti a titolo individuale. Questa mancata distinzione, se da un lato, permette di orientare l’attività della cooperativa a fini istituzionali e di non distribuire tra i soci eventuali risultati economici positivi; dall’altro, sacrifica il diritto dei soci, proprio delle imprese for-profit, a pretendere la distribuzione del risultato economico al netto della copertura di tutti i costi sostenuti per conseguirlo.
La mancata soddisfazione di tale diritto comporta il pericolo che all’interno delle cooperative sociali manchi un meccanismo in grado di assicurare che gli amministratori siano motivati a gestire le cooperative in modo efficiente. Inoltre, la scelta delle strategie d’investimento, non potendo essere basata su criteri di efficienza, può tradursi in comportamenti opportunistici da parte del personale gestore delle cooperative; infine, può sussistere anche il pericolo che gli amministratori agiscano per motivi di vantaggio personale. Tutte queste ragioni possono determinare scelte gestionali assunte sulla base dei vantaggi che le scelte stesse possono procurare al patrimonio, alla carriera o al prestigio personale ed alla visibilità sociale del personale preposto alla gestione.
A differenza delle imprese for-profit, quindi, le cooperative sociali impiegate nella gestione dell’offerta dei servizi sociali potrebbero essere esposte, a causa della loro natura di “istituzioni senza padrone”, al rischio di dover subire gli esiti di decisioni non ottimali; e potrebbero anche scontare il rischio che le scelte siano la risultante di compromessi tra criteri disomogenei, con risultati non sempre positivi dal punto di vista delle capacità professionali degli amministratori.
In conclusione, i movimenti che sostengono la necessità di migliorare la qualità dei servizi sociali attraverso una gestione razionale delle strutture preposte all’offerta dei servizi, dovrebbero accompagnare la loro sua azione anche con l’indicazione delle forme di gestione e di controllo ad hoc delle cooperative. Tra queste, dovrebbe essere oggetto di particolare considerazione un’adeguata articolazione delle responsabilità tra gli organi di indirizzo e quelli di gestione, in modo da riprodurre la funzionale contrapposizione tra azionisti e amministratori delle imprese for-profit. Per la scelta degli amministratori, inoltre, i movimenti dovrebbero chiedere che i requisiti ad essi richiesti fossero resi molto più “stringenti” di quelli sinora richiesti per le cooperative in generale. Soprattutto, sarebbe necessario che ogni forma di controllo fosse esercitata direttamente dai soci delle cooperative.