Riecco i socialisti francesi nel loro peggiore ruolo, quello della tribù disunita; così esordisce Matthieu Croissandeau sul Nouvel Observateur del 26 febbraio (Le Ps, les mains sales et les idées pures): una tribù che non è più una famiglia, tanto i legami si sono sfaldati. Si può dire che esistano due sinistre in Francia: quella abituata a governare con la pratica e gli eventuali compromessi, e quella che sogna astrattamente e si oppone con ogni mezzo all’altra. I primi si sporcano le mani nel loro lavoro, i secondi possiedono le idee nella loro purezza: una contrapposizione che dura da decenni. Tuttavia i socialisti si trovano drammaticamente davanti alla crescita del Fronte nazionale lepenista, sempre più all’offensiva, e benchè abbiano qualche difficoltà a superare le loro contrapposizioni, ora è indispensabile che imparino a marciare a ranghi serrati: ne va della loro salvezza. Queste osservazioni pongono un interrogativo: i socialisti francesi sono sempre stati così? O, almeno, da quando sono così?
Occorre tornare all’epoca di Mitterrand. Un personaggio – secondo François Armanet, in un articolo nello stesso numero del Nouvel Observateur – che ha dominato a tal punto la scena della sinistra francese che – pur essendo partito (congresso d’Epinay del 1971) dalla necessità della rottura con il capitalismo, per recuperare non solo il voto dei comunisti ma anche quello degli studenti del maggio francese, nell’azione politica e governativa ha di fatto realizzato un svolta nettamente socialdemocratica e riformistica . Da una parte era il peso del presidente a mettere la sordina a tutte le questioni controverse, dall’altra una relativa indifferenza di Mitterrand verso tali questioni.
Una Bad Godesberg francese non ha così avuto luogo, risolvendosi tutto sotto l’ala presidenziale. L’articolo di Armanet è un’intervista allo storico Michel Winock, di cui è disponibile il volume François Mitterand, uscito in questi giorni presso l’editore Gallimard. Così scrive Winock nel suo libro (traduco liberamente accostando vari brani): “Attore politico di primissimo piano, Mitterrand ha diretto e organizzato la propria vita come in un romanzo, perché egli fu, stendhalianamente, uno specchio in movimento su una strada maestra, le cui pietre miliari cominciano oggi a sbiadire. […] Di tutti i presidenti francesi, egli è stato, con De Gaulle, ma dopo di lui, il capo di stato che ha lasciato un’impronta durevole sulle istituzioni politiche e, particolarmente, sul socialismo francese. […] Il suo percorso politico si confonde con quello della sinistra francese nella seconda metà del XX secolo. Egli è stato il primo che, da solo, sia riuscito a realizzare l’unità di tutta la sinistra. Non condivideva nulla con il partito comunista, ma l’alleanza con i comunisti gli è servita per lanciare la sinistra alla conquista del potere, liquidare nel tempo gli stessi comunisti, e per insediarsi alla massima magistratura, la presidenza della Repubblica. La sua elezione è in fondo servita a stabilizzare le istituzioni rafforzandone il ruolo e banalizzando l’alternanza politica”. Rimane un lascito ambiguo, che i socialisti francesi, non più diretti da un leader di quel livello, non sono riusciti mai a risolvere.
Ma che cosa è stata Bad Godesberg? forse a molti lettori non dice più nulla tale nome, e quindi è opportuno riandare brevemente a quella stagione tedesca. Dopo la seconda guerra mondiale, la socialdemocrazia tedesca, riprendendo gli antichi programmi di inizio Novecento, aveva deciso, con il proprio leader Kurt Schumacher, di rinserrarsi all’interno della famosa “torre del 30%” (una ridotta alla Bersani, per intenderci), limite elettorale neppure raggiunto alle elezioni del 1953 e comunque mai superato. A questa ottica perdente reagirono Willy Brandt e altri. Brandt, ne La politica di un socialista: 1960–1975 (Garzanti, 1979), ha scritto che bisognava “acquisire una nuova dimensione, […] rinunciare ai vecchi schemi di pensiero […] per essere pronti ad affrontare i nuovi tempi”, superando i vecchi steccati ideologici.
I socialdemocratici tedeschi giunsero così ad un congresso straordinario, tenutosi il 15 novembre 1959 a Bad Godesberg, cittadina termale dell’ovest tedesco, oggi divenuta un quartiere di Bonn. Il programma approvato sanciva l’abbandono di ogni riferimento al marxismo, rintracciava le proprie radici nell’etica cristiana e nell’umanesimo socialista, respingendo ogni riferimento ai paesi comunisti, considerati dittature negatrici della libertà e della democrazia, e adottando un programma democratico e riformista nel quale si coniugava l’apertura alla concorrenza di mercato con l’esigenza di un forte impegno sociale anche attraverso l’intervento diretto dello Stato. Questa svolta ha poi guidato la successiva azione politica dei socialdemocratici tedeschi, che hanno superato la “torre del 30%” vincendo più volte le elezioni.
Tale svolta nella Francia di Mitterrand è avvenuta in sordina, mai apertamente: così ogni generazione di socialisti francesi si ritrova di fronte al dilemma da sciogliere e a micidiali lotte fratricide da superare. Come sempre, anche per noi italiani c’è materia su cui riflettere.