La situazione dell’Italia è difficile e richiede la ricerca di politiche più attive, innovative e meno recessive. Tra queste vi è certamente quella fondata su una possibile valorizzazione delle riserve auree detenute in surplus dalla Banca d’Italia, secondo un programma derivato dalla proposta ”Bankoro”, elaborata da Fulvio Coltorti e Alberto Quadrio Curzio e resa pubblica attraverso diversi articoli pubblicati su “Il Sole 24 Ore” tra il 2011 e il 2013.
I due autori hanno messo in rilievo che la Banca d’Italia, con una circolazione monetaria pari alla fine del 2012 a 150 miliardi di euro, si presenta con un patrimonio netto di 23,5 miliardi; la Banque de France, che gestisce una circolazione di 170 miliardi, presenta un patrimonio di poco superiore ai 9 miliardi; mentre la Deutsche Bundesbank, con una massa di biglietti di 227 miliardi, dispone di un capitale di appena 5,7 miliardi. Ancora, il Banco de España, a fronte di una circolazione di 100 miliardi, dispone di mezzi propri per 3,8 miliardi di euro, mentre la Bank of England dispone anch’essa di 3,8 miliardi di euro di patrimonio a fronte di 67 miliardi di circolazione.
I dati citati dimostrano che la Banca d’Italia è un’impresa con un patrimonio molto elevato, per cui diventa plausibile valutare se sia possibile diminuirlo per destinare il surplus di patrimonio di garanzia alla costituzione di un “fondo risorse” per il superamento della crisi del paese.
Per la valorizzazione del surplus bisognerebbe partire dalla sistemazione delle partecipazioni private nel capitale di Bankitalia, con un’operazione che coinvolga le riserve auree detenute dalla stessa Banca centrale e le partecipazioni dei suoi azionisti. Il programma porterebbe a ricapitalizzare le banche italiane azioniste, con effetti positivi su tutto il sistema bancario italiano che porterebbe ad un aumento dell’erogazione del credito a vantaggio del sistema economico.
La questione di come si possa portare a realizzazione questo progetto che coinvolge la posizione del paese nei confronti del “Sistema Europeo delle Banche Centrali” (Sebec) è molto complessa, perché comporta un impatto sulle normative nazionali e sugli statuti della Bce e dello stesso Sebec, nonché sui Trattati europei. Tuttavia, con due pareri del 2009, la Bce ha autorizzato la possibilità che un’eventuale rivalutazione delle riserve auree possa essere tassata.
L’utilizzazione del surplus di riserve si è quindi trasformato in problema tutto italiano: dopo l’entrata dell’Italia nell’Unione monetaria la Banca d’Italia ha conservato la vecchia struttura proprietaria; questa, dopo le privatizzazioni delle banche azioniste, si è trasformata paradossalmente da struttura pubblica in struttura privata: e malgrado sia stato disposto per legge il trasferimento delle quote dei privati allo Stato, la legge sino ad oggi è stata disattesa, ponendo Bankitalia in una situazione a dir poco assurda, dal momento che i suoi proprietari sono divenuti anche i più importanti soggetti vigilati. Questi, però, non possono interferire nella condotta istituzionale della banca della quale sono proprietari, per effetto della legge che ha sancito il recepimento delle norme del Sebec al quale lo statuto della Banca d’Italia si è conformato.
Allo stato, permanendo l’incertezza sul riordino della struttura proprietaria, il governo trova opportuno orientare la sua azione solo a “fare cassa”, sfruttando la possibilità di sottoporre a tassazione la rivalutazione delle riserve auree detenute dalle banche private. A tale scopo, infatti, in occasione della legge di stabilità, il governo ha pensato di usare la rivalutazione del patrimonio della Banca d’Italia per raccogliere qualche spicciolo da un’imposta che verrebbe fatta pesare sugli azionisti privati, ovvero sulla rivalutazione delle quote di partecipazione delle banche a Bankitalia, anziché portare avanti a livello europeo la revisione delle normative nazionali delle Banche centrali dei paesi dell’eurozona, degli statuti della Bce e del Sebec, e dei Trattati europei, per rendere operativa la proposta Bankoro in tutta la sua portata.
In alternativa al fabbisogno finanziario del bilancio dello Stato per un limitato periodo di tempo, la tassazione della rivalutazione delle riserve auree potrebbe essere utilizzata per obiettivi di ben altro spessore, come ad esempio l’abbattimento parziale del debito pubblico, la costituzione di un fondo per la promozione di investimenti innovativi, oppure per finanziare le riforme strutturali necessarie a rilanciare la ripresa dello sviluppo e della crescita del paese. Si tratterebbe di una forma di utilizzazione del surplus delle riserve auree dell’Italia in modo ben più incisivo sulle sorti del paese del misero equilibrio temporaneo del bilancio dello Stato, utile solo a coprire il fabbisogno espresso dalla necessità di coprire qualche spesa corrente su cui si regge la salvezza del “governo delle larghe intese”.
Le difficoltà che si opporrebbero a questa soluzione non sarebbero insormontabili; Fulvio Coltorti, uno dei coautori della proposta Bankoro, la descrive su “Il Sole 24 Ore” del 3 novembre così: lo Stato rileva le quote dei privati nel capitale di Bankitalia; successivamente quest’ultima riduce il proprio patrimonio allineandolo a quello delle altre principali Banche centrali europee, e rimborsando con il valore delle riserve “liberate” lo Stato; infine, lo Stato destina quanto ricevuto da Bankitalia agli scopi di lungo periodo valutati più opportuni.
In questo modo, conclude Coltorti, sarebbe sistemato l’assetto proprietario di Bankitalia e diverrebbe possibile progettare una politica economica per il superamento della crisi che grava sul paese. Perché non si fa? Misteri di questa seconda Repubblica, i cui protagonisti, avendo la vista corta, sono unicamente preoccupati di “conservarsi in sella” di un cavallo, l’Italia, da anni divenuto per loro colpa un “ronzino male in arnese”.
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