Virtuale non è sinonimo di virtuoso. Lo dimostrano i vari flop dei 5 stelle laddove governano, come nel caso di Quarto. Per governare nella legalità non basta sbandierarla  ed iscriversi (partecipare) attraverso la rete. Questa può essere utile per aderire e discutere, ma non basta per la formazione e la scelta di rappresentanti che siano ad un tempo capaci di redigere e valutare proposte, assumere decisioni, controllare la burocrazia – che, non eletta, spesso detiene il potere reale (M.Weber) – relazionarsi alle istituzioni di altri paesi, confrontarsi con gli elettori  per ottenerne il consenso non a fini di  carriera e nemmeno per  specifiche utilità, ma  per realizzare l’interesse generale del paese.
La legalità del politico  coincide con questo insieme di “competenze”, formate e controllate con “metodo democratico”, come prescrive l’art. 49 della Costituzione: una norma chiave del nostro sistema la cui mancata applicazione ha favorito la degenerazione dei partiti e la loro subordinazione alle oligarchie, le quali dettano i candidati ad elettori cui non resta che votarli o disertare le urne.
In alternativa a questo i 5 stelle, pur governati da una elite precostituita ed inamovibile, vantano il primato di una  “democrazia elettronica “. Ma riesce questa trovata a salvare dalla decadenza la politica? Può forse consentire la pars destruens, ma non è strutturato per selezionare e preparare  i propri candidati.
Quando  c’erano le classi, le  loro organizzazioni filtravano con apposite commissioni  gli iscritti, ed infine li candidavano dopo adeguato tirocinio, avendoli preparati ad esercitare le competenze, e collegialmente sperimentati come affidabili per la loro onestà ed il correlato senso di legalità. In assenza di questa  trafila,   e soltanto affidandosi all’immagine che ciascuno vuol darsi sul web, come si fa a garantire nella quotidiana azione di governo la moralità-legalità sbandierata, ed a controllare il potere burocratico che é titolare della macchina istituzionale?
Davvero basteranno i “raggi x” preannunciati da Di Maio dopo Quarto ? Liquefatti i partiti, ora non c’é né selezione né formazione, e la scelta avviene tramite i media e la rete: cioè da potentati finanziari che pagano e controllano tutto (come ormai negli Usa,dove forse resiste qualche settore della stampa). La politica è ora un’arena che valorizza la capacità di bucare il video, di “attenzionare”, di riuscir graditi a chi non ha più né la fabbrica come luogo di aggregazione e di spinta , né la voglia di passar le serate a discutere in sezione o al circolo. Tutto si è snellito, alleggerito: l’eletto è già bell’è confezionato. E però, se poi non ha le suddette capacità (propensione alla legalità compresa), lo si espelle e si ricomincia?  E chi sceglie coloro che hanno il diritto di espellere?
Qui rispunta il problema stesso della democrazia. Studiosi  come S. Wolin e C. Crouch, preso atto del trionfo incontrastato del capitalismo globalizzato, auspicano forme di “democrazia clandestina”(sic!) per iniziativa di “molteplici comunità democratiche […] amministratori pubblici […] nuove identità sociali “(sic!). E dunque, mentre si ampliano a dismisura i divari economico-sociali e non ci sono più né le classi né le loro organizzazioni, basterà sbandierare l’idea della legalità?  Forse soltanto se si finge di credere che, nel virtuale, si diventa virtuosi.