Sulla procedura scelta dal governo per portare a termine le riforme istituzionali si possono nutrire dei dubbi. Alcuni, nell’editoriale della rivista che ora è in stampa, li propone anche chi scrive. Ma è paradossale che lo faccia anche un signore che nella scorsa legislatura ha presieduto un’assemblea in seno alla quale le riforme suddette hanno inutilmente vegetato per cinque anni. Ed ancora più paradossale è che Renato Schifani eccepisca sull’opportunità istituzionale della nomina della Commissione dei “saggi”, paventando che così il Parlamento venga condizionato da una fonte extraparlamentare, visto fra l’altro che ora siede in un’assemblea in cui 65 suoi colleghi sono a loro volta condizionati da fonti extraparlamentari (se sosì si può definire il Fuhrerprinzip instaurato da Grillo).
Padronissimo Schifani di preferire Crimi a Cheli e Fico ad Onida. Meno padrone di ignorare le responsabilità sue e della sua parte politica per la situazione anomala che si è venuta a creare anche e soprattutto grazie alla dispersione dell’ampio consenso conseguito alle elezioni del 2008.