Leggendo l’intervista del dottor Scarpinato, Procuratore generale a Palermo, non credevo ai miei occhi. Definire delirante la sua presa di posizione è troppo poco e, allo stesso tempo, mi interrogo per quale ragione un magistrato di così grande esperienza possa incappare in errori così grossolani, tra l’altro invocando la Costituzione, che i magistrati dovrebbero essere i primi a rispettare e di cui non sono gli interpreti, perché questo compito compete alla Corte costituzionale e al Legislatore, bensì coloro che, tenuto conto delle leggi che il Legislatore mette a loro disposizione, sono tenuti a verificarne il rispetto con rigore e imparzialità.
Non sopporto, tra l’altro, che venga richiamata costantemente l’azione del giudice Falcone da molti suoi colleghi, come Scarpinato, dimenticando che Falcone ricordava spesso, anche a loro, che il compito del magistrato è perseguire i reati e non assumersi altre missioni che a loro non competono. Chi richiama e si erge costantemente a difensore della Costituzione vigente rispetto alle forzature altrui deve ricordare che il rispetto della Costituzione, in primo luogo, compete ai magistrati a cui essa ha conferito così alti e gravosi compiti che non dovrebbero farli distrarre da altri obiettivi, che come cittadini possono avere ma che non devono mettere in discussione la loro terzietà.
In Germania non si poteva fare la rivoluzione perché c’era la polizia. In Italia, invece, si può fare perché c’è la magistratura. Anzi, secondo Scarpinato, è già stata fatta: con la prima parte della Costituzione, che definisce dei “diritti assoluti” non suscettibili di essere trasformati “in diritti relativi, cioè subordinati a discrezionali politiche di bilancio”; e con la seconda parte, che affida appunto “alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo”.
Lo scontro politico, le lotte sindacali, i movimenti collettivi che rappresentano nuove domande sociali, quindi, non servono: basta la giurisdizione. E se in settant’anni la promessa di uguaglianza contenuta nell’articolo 3 della Costituzione non ha ancora avuto pieno adempimento, la colpa è dei ben noti “tempi lunghi della giustizia” (da correggere, magari, allungando la prescrizione). Mentre ai movimenti collettivi – guidati ovviamente da magistrati che hanno il diritto-dovere di esternare le proprie opinioni – spetta soltanto di scendere in piazza contro la “reingegnerizzazione” delle istituzioni e la “ricostituzionalizzazione” della Repubblica.