Un capolavoro politico o una grande truffa ai danni dei propri elettori e dei rispettivi militanti? Non sono ancora chiari i confini dell’operazione “Saving Silvio”, ma per il Pd il dado è tratto: l’establishment del partito ha deciso di esplorare la strada del suicidio assistito, ignorando le istanze della base e procedendo su una china pericolosa, quella che porta per l’appunto all’estinzione dell’attuale centro-sinistra e all’alternanza fra il populismo grillista e la dittatura mediatico-berlusconiana.
Nell’arco delle ultime settantadue ore parecchi strappi sono stati perpetrati al dettato costituzionale: la serrata delle Camere, fosse anche per un solo giorno, al fine di garantire al Pdl la possibilità di riunire una fantomatica Direzione, con l’obiettivo esplicito di discutere le recenti sfortune giudiziarie del Gran Capo Bantù Balalunga, rappresenta oltre ogni ragionevole dubbio una pagina vergognosa della nostra vita democratica. Roba da Unione Sovietica o da autoritarismo sudamericano, per intenderci. Epifani avrebbe potuto facilmente obiettare: cari onorevoli del centro-destra, stiamo lavorando insieme per una riforma condivisa della Giustizia, una riforma che riduca i tempi d’attesa dei processi; come potete biasimare la celerità dei tribunali? Non avete un naturale interesse a dimostrare l’innocenza del vostro leader in tempi relativamente rapidi? Per cosa esattamente dovremmo sospendere l’attività di Camera e Senato? Dove sarebbe la persecuzione giudiziaria da voi invocata a più riprese? Avrebbe potuto, Epifani, muovere tali critiche sulla stampa o nelle sedi opportune, ma ha preferito tacere per quieto vivere. Peggio: si è mimetizzato dietro una dichiarazione di pilatesca memoria. “Quanto accaduto rende ancora una volta esplicito il problema di fondo di questi mesi: la vicenda giudiziaria di Berlusconi e il rapporto d’azione di governo e di Parlamento. Questo nodo deve essere sciolto solo tenendo distinte le due sfere, perché se no, a furia di tirare, la corda si può spezzare con una scelta di irresponsabilità verso la condizione del Paese e la sua crisi drammatica”. Non c’è che dire: gliele ha cantate. Meglio ancora ha fatto il capogruppo alla Camera Speranza, il cui cognome coincide singolarmente con l’aspettativa di molti suoi elettori: il vano desiderio di mandare a casa un intero gruppo dirigente per sostituirlo, al prossimo giro di boa, con elementi validi, persone di spicco che sappiano almeno far valere le ragioni della prima forza politica del paese. Accettando la cannibalizzazione del Pd, il nostro eroe ha rivendicato il merito di aver impedito ai berluscones di bloccare i lavori di Montecitorio per tre giorni. Un risultatone.
Fin qui nulla di nuovo. Un senso di disagio pervade comprensibilmente l’animo dell’opinione pubblica che si riconosce nei valori del progressismo europeo, ma nessuno, almeno nella giornata di ieri, avrebbe immaginato che il peggio dovesse ancora venire. Non sembrava proprio possibile. E invece accade che il senatore Luigi Zanda, lo stesso Zanda che il 16 maggio dichiarava orgogliosamente “Secondo la legge italiana Berlusconi, in quanto concessionario di reti televisive, non è eleggibile. Ed è ridicolo che l’ineleggibilità colpisca Confalonieri e non lui”, avrebbe adesso progettato un disegno di legge d’intesa con Massimo Mucchetti (sempre in quota Pd) per far sì che la Giunta delle elezioni, invece di decidere sulla ineleggibilità del Cavaliere, venga chiamata a valutare altresì la compatibilità della carica rappresentativa con la titolarità delle aziende. In tal modo, lungi da far decadere l’ex premier, si procrastinerebbe di un anno qualsivoglia decisione, lasciando a Berlusconi la possibilità di decidere se conservare le sue aziende o optare per l’attività parlamentare. Un anno è il termine entro il quale l’esperienza del governo Letta dovrebbe finire; un anno è periodo sufficiente entro il quale il Caimano conta di far approvare una mega-amnistia, invocando strumentalmente il problema del sovraffollamento delle carceri. Un provvedimento che possa estinguere, sic et simpliciter, i reati di concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, salvando un imputato a caso. Frattanto l’uomo di Arcore potrebbe rinunciare alla prescrizione per arrestare la sentenza del 30 luglio: in tal modo riuscirebbe a buggerare i grillini in Parlamento, a svuotare il Pd dall’interno e a salvare la propria testa dalla scure di Madame giustizia. Un artista della sopravvivenza.
Tutte le opinioni sono lecite, e comunque su questo sito non si esercita la censura. Consenta comunque Lombardo qualche chiosa.
Innanzitutto non si capisce che cosa c’entrino l’Unione sovietica e l’autoritarismo sudamericano con l’ordine dei lavori di Camera e Senato. La differenza fra Renato Brunetta e il colonnello Tejero dovrebbe risaltare ad occhio nudo. E ad occhio nudo si dovrebbe riconoscere che anche nel caso che Lombardo deplora non sono riscontrabili “strappi al dettato costituzionale”. Le due Camere, presiedute da Boldrini e Grasso, hanno autonomamente deliberato una modifica dei propri calendari su richiesta di un gruppo parlamentare, come si è fatto e si fa almeno una volta al mese.
Lombardo obietterà che si tratta di un formalismo. Ma in materia costituzionale la forma è sostanza. Anche perché le Costituzioni (e i Parlamenti) sono state inventate apposta per formalizzare conflitti che altrimenti esploderebbero in termini ben più devastanti. E se col formalismo si possono disinnescare eventuali intenzioni eversive – come quelle probabilmente coltivate da chi evocava l’Aventino – ben venga il formalismo.
Non c’è bisogno di un particolare acume neanche per capire che un disegno di legge di iniziativa parlamentare – come quello di Zanda e Mucchetti – non può incidere sulle decisioni della Giunta delle elezioni del Senato: sia perché non è ancora una legge, sia perché la Giunta deve deliberare in base alle leggi in vigore alla data dell’elezione di Silvio Berlusconi.
Un consiglio, infine, a Giuseppe Lombardo, i cui interventi pubblichiamo sempre volentieri: lasci a Travaglio i giochi di parole sui cognomi, alla Repubblica le ossessioni sull’onnipotenza del Caimano, ed a Renzi la fretta di veder cadere il governo Letta.
Consento, ovviamente, non solo le chiose, che accolgo di buon grado, ma anche le critiche. Il paragone con l’Unione Sovietica o con i paesi sudamericani è ovviamente un paragone stirato, lo riconosco io stesso senza troppi problemi: fa parte di quelle forzature concettuali con cui si tenta di dipingere a tinte colorate la realtà, uno strumento per rendere bene il quadro del degrado morale in cui le forze politiche da qualche tempo si muovono.
Ciò detto, un populista che possiede il monopolio televisivo ed impone con un escamotage all’intera maggioranza di fermare i lavori del Parlamento a causa della sua personale posizione giudiziaria sa tanto di anomalia nel sistema democratico. E mi rifiuto di chiamarlo Aventino, per rispetto della sopracitata forma.
Poi, magari sono io che pecco di scarsa indulgenza, per carità. Grazie a Dio abbiamo una Costituzione, come evidenzia Covatta. Una Costituzione che ha impedito a Berlusconi e ai suoi di fare carne da porco del paese, nonostante le leggi ad personam cui abbiamo dovuto assistere in un silenzio impotente: in tal senso, va detto, noto la costanza e riconosco al centrodestra un impegno straordinario “in direzione ostinata e contraria” come direbbe qualcuno.
Il Pd avrebbe potuto rompere gli indugi, avrebbe potuto rifiutare qualsiasi compromissione, avrebbe potuto chiedere alla Giunta di rivedere questa situazione critica: ha preferito, invece, normalizzare la situazione, inseguendo l’avversario e dando un nuovo riconoscimento politico ad un uomo che da vent’anni confonde i suoi privatissimi interessi con gli interessi del paese, tenendoci fondamentalmente legati al palo.
Quanto a Travaglio, Repubblica e Renzi, non so che dire: questa è la parte che un po’ meno ho apprezzato. Io scrivo quello che penso, e tanto mi basta.
Un cordiale saluto
Che Lombardo scriva quello che pensa mi è del tutto evidente, e siccome lo scrive anche bene mi dispiace che segua cattivi esempi di scrittura. Che Berlusconi sia più lucido dei berlusconiani pure mi sembra evidente, anche alla luce dell’intervista a Guzzanti sul Giornale dell’altro ieri. Ed è altresì evidente che la giustizia non si riforma con le leggi ad personam. Questa, peraltro, è la contraddizione alla quale varrebbe la pena inchiodarlo: avere perseguito una politica criminale forte coi deboli e debole coi forti, come avrebbe detto Nenni. Avere preteso, cioè, di essere contemporaneamente libertino e illiberale.
Ora i berlusconiani cercano di rimediare andando a firmare i referendum radicali: iniziativa un po’ grottesca da parte di chi, solo cinque anni fa, disponeva di una schiacciante maggioranza in Parlamento. Ma non è su questo che lo incalza la sinistra, che anzi ha a lungo puntato sul “compagno Fini”, cofirmatario di tutte le leggi che hanno riempito le carceri di immigrati e tossicodipendenti.