E’ apparsa francamente frettolosa e unicamente funzionale alla propria premiership l’offerta di Pierluigi Bersani a Grillo di sostegno, in cambio di ruoli di vertice in parlamento. Di nuovo si è sentito l’eco del “nessun nemico a sinistra” e dell’esigenza di rincorrere ogni radicalismo per riassorbirlo.
Ma questa volta è diverso! In primo luogo perché il partito democratico non è più in grado di esercitare l’egemonia politica e culturale di derivazione gramsciana, del vecchio partito comunista a sinistra; il “grillismo”, pur avendo preso molti voti a sinistra, è al di fuori di ogni tradizione ideologica di sinistra, rivoluzionaria o men che mai riformista e si colloca nel solco della pura protesta di sistema, puntando al cupio dissolvi. Ne rende prova il programma di Grillo: “non voteremo mai la fiducia ad un governo e, soprattutto, a chi ha perso e si deve dimettere; siamo disponibili ad un governo 5 Stelle (si sarebbe detto “monocolore” nella prima Repubblica, ndc) con il vostro appoggio”. Un programma finalizzato alla fine dell’attuale sistema politico ed economico, che ha le proprie radici ideologiche nell’economia “decrescente” e nella democrazia “digitalizzata. La prima, che trova l’humus nelle teorie dell’economista e filosofo francese Sergio Lautouche, secondo cui: “La parola d’ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la necessita dell’abbandono dell’obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essenzialmente la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale, con conseguenze disastrose per l’ambiente e dunque per l’umanità. Non soltanto la società è ridotta a mero strumento e mezzo della meccanica produttiva, ma l’uomo stesso tende a diventare lo scarto di un sistema che punta a renderlo inutile e a farne a meno”. La seconda, ingenua, ma potente, la “democrazia digitale”, è fondata sull’idea che partecipare al policy making significhi intervenire nel processo decisionale esprimendo un’opinione, che sia tramite un click, un like o la formulazione di una qualche proposta in crowdsourcing, un voto non vincolante, con un richiamo alle teorie di Lawrence K. Grossman, espresse ne La repubblica elettronica, dato alle stampe nel 1995.
Se si vuol tentare di evitare la deriva politico-istituzionale del nostro Paese, c’è bisogno di un esecutivo di larghe intese, presieduto da una personalità al di fuori dei giochi politici, in grado di varare una politica economica che stimoli con una terapia shock l’economia sul lato dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione. Una politica economica e sociale si potrebbe definire, schiettamente socialdemocratica e keynesiana, in grado anche di rinegoziare gli accordi con l’Europa, anche a costo di minacciare rotture nell’area euro. La maggioranza a sostegno di quest’esecutivo dovrebbe in parlamento abolire il finanziamento pubblico dei partiti, ridurre i parlamentari, cancellare le province, modificare la legge elettorale con i collegi o con le preferenze. I partiti, Pd e Pdl, promuovere una nuova classe dirigente, che non sia quella dei “professionisti della politica” e dei “nominati”, ma che abbiano alle spalle percorsi professionali e di lavoro, e autonomia politica.
Se ciò non avverrà, l’attuale sistema politico e ciò che resta della nostra democrazia potrebbero essere spazzati via e poiché non c’è, come nella Francia della crisi della IV Repubblica, un De Gaulle reserve de la Republique, potrebbe aprirsi la strada all’avventurismo.