Sarà la magistratura a chiarire gli eventuali profili di responsabilità penale degli ex amministratori del Monte dei Paschi di Siena, in una vicenda che evoca le critiche di Ernesto Rossi al “capitalismo inquinato” dei “padroni del vapore” nel nostro Paese.
Ciò che deve essere affrontato subito però, è il tema del sistema bancario in Italia e, in particolare, della separazione tra attività tradizionali e di investment banking.
La Bce si è fatta carico del problema, con l’approvazione di un documento di risposta al rapporto varato dal governatore della Banca di Finlandia Liikanen, che chiede con vigore la separazione degli sportelli dalle attività speculative, come del resto Wolfgang Schauble, il potente ministro delle finanze tedesco.
Senza dimenticare che il tema non è oggetto di dibattito solo nel Vecchio Continente ma anche nel cuore del capitalismo globalizzato, negli Stati Uniti, dove Sandy Weill, l’ex presidente di Citygroup, fautore dell’abrogazione operata dal presidente Clinton del “Glass-Steagall Act”, la legge americana del 1933 voluta da Roosewelt nell’ambito del New Deal, per contrastare la drammatica crisi economica del 1929, provocata, come quella odierna, dalla speculazione finanziaria.
Prima della recente presa di posizione, l’Europa è apparsa reticente sul tema, forse a causa delle posizioni del presidente della Banca centrale Mario Draghi, fautore in Italia della cosiddetta “banca universale” che somma le due funzioni, insieme a Giuliano Amato. Entrambi sono in questo momento in grande difficoltà a causa degli avvenimenti del Monte dei Paschi di Siena, Draghi in quanto all’epoca dei fatti contestati era governatore di Bankitalia e Amato in quanto vero punto di riferimento politico di Giuseppe Mussari, il deus ex machina delle operazioni finanziarie che hanno travolto l’istituto bancario di Siena.
Amato peraltro, è stato l’autore, assieme a Guido Carli, ministro del Tesoro nel 1990 (governo Andreotti) della riforma del credito fondata sulle fondazioni, andata a regime con il Testo Unico bancario del 1993, durante il governo-Ciampi. Una sorta di ircocervo giuridico, in cui pseudo-privati, come le fondazioni, hanno il controllo degli istituti di credito mentre lo Stato (e quindi chi paga le tasse) si assume tutti i rischi: lo scandalo del Monte dei Paschi è paradigmatico al riguardo, oltre al prestito di 3,9 miliardi di euro (7.550 miliardi delle vecchie lire) al tasso del 9%, vi è la garanzia dello Stato sulle obbligazioni già emesse da MPS per un importo non precisato di oltre dieci miliardi di euro.
Non sarebbe più serio che lo Stato assumesse il pieno controllo di Mps e di altre banche eventualmente in difficoltà, nominando gli amministratori per operare ristrutturazioni nell’interesse dei risparmiatori e dei contribuenti e quindi collocarlo sul mercato, attraverso un azionariato popolare e mantenendo una golden share?