Era il 1970 ed era in corso la prima campagna elettorale per le elezioni regionali. La mattina ci eravamo alzati abbastanza presto per raggiungere Arezzo, capoluogo della provincia confinante con la nostra circoscrizione provinciale di Siena. La cosa mi aveva un po’ disturbato perchè fare una levataccia di domenica dopo averne fatte diverse in settimana, era per me, scolaro di quinta elementare, veramente qualcosa di deprimente. Inoltre quella gita significava niente partita di calcio all’oratorio la mattina, nè partita di calciobalilla al pomeriggio. Mi rincuorava l’assicurazione che mi dette il babbo prima di partire: ” Stasera dopo cena ti concedo il cinema: se però fai poche storie e non fai girare le scatole alla mamma”.
Arrivammo a destinazione alle 10, dopo neanche 45 minuti di macchina che a me sembrarono un’eternità.Il comizio era previsto per le 11,00: dopo di che pranzo elettorale con l’oratore Mauro Ferri. La manifestazione si tenne in un cinema-teatro del centro di cui non mi ricordo il nome. Mi rammento invece benissimo che mio padre ci trattenne fuori per aspettare l’onorevole, che giunse con un po’ di ritardo.
L’uomo dai baffi neri e fortemente stempiato arrivò con un’impermeabile bianco ed un cappello nero a tesa larga : scelta ben fatta vista la stagione. ” Mauro”, gridò il consigliere comunale di Arezzo che insieme a mio padre ed all’Avv. Giorgi di Grosseto componevano il trio territoriale dell’allora circoscrizione elettorale, e che  costituivano il comitato ufficiale di ricevimento. “Scusate, il treno da Roma era in ritardo, ed io con lui”, riuscì ad esclamare l’onorevole prima di essere assediato da una folla di amici e compagni aretini, tutte conoscenze di vecchia data (alcune – come disse – dai tempi dell’Università).
Non so se riuscìsse a tenere i piedi a terra o se, in sospensione, la miriade lo trascinasse dentro al luogo di riunione. Sta di fatto che l’iniziativa ebbe inizio in una sala piena di persone, di fiori rossi e di bandiere con il sole sopra le onde del mare (che i benevoli volevano nascente ed i denigratori calante). Furono due ore di interventi, di applausi, fischi e di un lungo discorso che Ferri pronunciò con fermezza e decisione.
Finito tutto ciò, via: tutti al ristorante per il lieto fine. Anche all’epoca l’appetito non mi mancava, e l’ unica cosa che mi spaventava era l’attesa e la lunghezza di certi convivi che ben conoscevo, data la passione politica di papà e mamma.
Fortunatamente, in quella come in altre occasioni mi fu compagna di tavolo la figlia del funzionario di federazione Nello Del Vespa, Lucia, già all’epoca simpaticissima ragazzina bionda senza tanti peli sulla lingua.
Appena ci sedemmo, tanto per non smentirsi, mi apostrofò subito: “Allora ti sei deciso o no? Psi come il nonno o Psdi come il babbo?”. Io diplomaticamente risposi: “Spero che si riunifichino. Comunque lo sai: mi piace il Psdi , ma anche il Psi non mi dispiace”.
” Hai visto?”, incalzò lei: “E’ proprio uguale all’imitazione di Noschese alla TV l’altra settimana. Mi piacerebbe tanto sapere che ne pensa” . Non so che mi prese: mania di protagonismo, curiosità? Sta di fatto che presi Lucia per mano e le dissi “Vieni con me” . Senza proferir parola lei mi seguì con aria stupita. Con lei vicino mi feci spazio tra una folla di persone che anche durante il pasto avevano circondato. sia pur sedute, il povero onorevole che a stento riusciva a mangiare qualcosa.
Quando l’ultima persona fu superata, me lo ritrovai davanti. I mitici baffi sembravano ancor più neri, da vicino. Mi fissò. Stava per continuare il pranzo quando io, facendomi coraggio: ” Scusi signor Onorevole, posso farle una domanda ?”. Ferri mi guardò meravigliato e riuscì solo ad esclamare “Due! “. Ed io: “L’altra settimana Noschese l’ha imitata. Lei ne è rimasto contento ?” . ” Certo che sono rimasto contento: quando i comici ci imitano ci chiedono sempre l’autorizzazione prima; ed io la concedo volentieri, specie a Noschese che ammiro molto”.
Lo ringraziai e me ne andai, sempre con Lucia dietro, che appena seduti mi disse grazie guardandomi con una sorta di rispetto che ancora oggi rammento. Quella fu l’unica volta che ebbi l’onore di parlare con Mauro Ferri. In seguito non ho mai partecipato ad altre sue iniziative. Ne ho sempre comunque seguito la carriera – sia politica che forense – e sono stato felicissimo quando è stato nominato giudice costituzionale. Questa mia gioia  era dovuta certo alla sua bravura ed abnegazione, da tutti riconosciuta: ma anche ad una sorta di ringraziamento postumo e silenzioso per aver preso sul serio un moccioso di 10 anni in un piovoso aprile aretino di quarantacinque anni fa.