A 68 anni se n’è andato Franco Piro. Era stato deputato socialista dal 1983 al 1994, e da presidente della Commissione Finanze varò le prime leggi che cominciarono a regolare i mercati finanziari nel nostro paese. Era poliomielitico e camminava con le stampelle : e varò anche le leggi sulle barriere architettoniche. Conosceva anche i disagi dei familiari dei disabili, ma non la disinvoltura di chi le disabilità le inventava per marcare visita: e la legge 104 non fu fra le sue iniziative più felici.

Era un calabrese trapiantato a Bologna, dove si era laureato in storia economica. All’università aveva militato in Potere operaio, e molti lo ricordavano per l’abilità con cui manovrava le stampelle per difendersi dalle cariche della polizia. Aveva lasciato Potop nel 1973, perché al convegno di Rosolina quel movimento si era pronunciato a favore della “lotta armata” (allora si faceva largo uso di iperboli). Ma quando, giusto quarant’anni fa, Francesco Lorusso cadde vittima di un carabiniere troppo focoso in via Mascarella, guidò il corteo funebre che i giovani socialisti bolognesi organizzarono nonostante il divieto prefettizio di celebrare i funerali del giovane studente.

Al Psi era approdato nel 1975, ma la casa socialista non gli era estranea neanche prima. Come tanti  cosentini aveva incrociato più volte Giacomo Mancini, che fra l’altro negli anni ’70 non si sottraeva neanche al confronto coi giovani della sinistra extraparlamentare. E poi era stato Mancini, da ministro della Sanità, ad imporre nel 1963 l’adozione in Italia di quel vaccino Sabin che avrebbe salvato tanti ragazzi dalla sua  malattia. Franco, peraltro, non fu mai “manciniano”: il che non impediva a Giacomo e a donna Vittoria di volergli bene come a un figlio.

In quegli anni, per la verità, nell’ordinata comunità socialista emiliana era un po’ un alieno. Si capiva che non nutriva nessun timore reverenziale verso il Pci, e questo non poteva piacere a quanti, benché titolari della ditta autonomista, erano un po’ più prudenti: tanto da apprezzare pochissimo, nel 1983, il suo “Comunisti al potere”, un libro che descriveva il ruolo del Pci in Emilia-Romagna, e che andrebbe riletto oggi per capire come nasce l’altra “ditta”, quella che si sta separando dal Pd.

Anche per questo Franco aderì alla corrente lombardiana, salvo poi seguire Gianni De Michelis in occasione del congresso di Palermo del 1981. E con De Michelis si ritrovò poi anche nella diaspora. Era comunque tornato all’insegnamento, e l’ultima volta lo avevo visto un paio d’anni fa appunto all’università di Bologna, dove tenevamo uno dei seminari di formazione organizzati dalla Feps e dalla Fondazione Socialismo. Intervenne con la consueta intelligenza, ma si guardò bene dal far pesare il suo precedente ruolo politico. Nonostante il suo carattere esuberante e quel filo di narcisismo senza il quale difficilmente si scende nell’arena politica, non era tipo da dire “lei non sa chi ero io”.