Al di là del carattere strumentale della polemica politica, credo che Matteo Renzi abbia colto un punto nodale del dibattito nazionale: le diffuse resistenze, (anche) a sinistra, al sistema maggioritario. Proviamo a porre per un istante fra parentesi le circostanze per così dire accidentali della questione: il confronto fra il sindaco e l’attuale premier, le “larghe intese” e via discorrendo.
Vi è nell’ Italia repubblicana una porzione consistente del campo della sinistra convinta di dover contribuire a un più ampio schieramento democratico – che si chiami arco costituzionale o accordo col Ppe nostrano – senza però poter governare da sola. Tante formule ed espressioni – vocazione maggioritaria da un canto, isolamento dei populisti dall’altro, ecc. – trovano in ciò la loro sostanza. Ciò fu del resto uno dei motivi di fondo del “compromesso storico”: per un insieme di fattori la sinistra non può ergersi da sola, col consenso popolare, al governo del paese.
Attraverso i decenni i fattori sono cambiati, almeno in parte, ma forse domina tuttora l’idea dell’inopportunità del governo “delle sinistre” (sia pure oggi espresse prevalentemente dal Pd). Anzi: si intravede il timore di alcuni di veder snaturata l’identità della sinistra in caso di sistema elettorale maggioritario. Come dire: c’è chi scorge in un Pd di governo alternativo al centrodestra lo smarrimento dei suoi tratti costitutivi. Si tratta di una questione che trascende persino il discorso sui “poli”, col quale viene spesso confusa. E in ciò è tutt’altro che retorico il richiamo ad altre esperienze, europee o d’oltre oceano.