Non intendo dire la mia sull’esito del recente congresso dei Radicali. A ben guardare, però, le questioni emerse sono decisive per qualsiasi soggetto politico. La possibilità di accedere allo spazio pubblico, il rapporto fra idee e potere, gli assetti organizzativi di una forza liberale e democratica, l’esigenza di una leadership accanto a quella di rispettare le minoranze interne rappresentano solo alcuni dei nodi controversi affrontati. Tutti i partiti, poi, vivono talora drammaticamente il conflitto fra due istanze: la presenza sul “territorio” e i limiti e le contraddizioni che essa comporta. E che dire dell’idea federale? Forse l’unico modo per ridestarla è partire da sé, da ciascuna forza politica, concependosi come una rete federativa fondata su un patto trasparente ed efficace.
Insomma: la tensione fra gli obiettivi e i mezzi per conseguirli, la passione, i ragionamenti e le emozioni degli esseri umani, lo scontro e l’incontro di visioni, interessi, generazioni differenti, l’apertura all’altro e il timore dell’annessione o della subalternità, l’identità e il ruolo del singolo e quello del gruppo, la discrepanza fra la vita e la “ragion di partito” coinvolgono in un modo o nell’altro ciascuno di noi.
Credo in definitiva che la “questione radicale” non si concluda qui. I radicali non hanno solo “fertilizzato” la società e la politica italiana in senso liberale, nonviolento, libertario. Continuano piuttosto a porci una serie di interrogativi, ai quali da un lato è difficile rispondere con coerenza, dall’altro si tratta dei dilemmi di fondo per l’oggi e per il futuro.
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