Nonostante l’impegno profuso da Francesca Pascale su Twitter, l’italiano non è una lingua morta. Le mutazioni linguistiche, anzi, costituiscono un elemento utile per valutare la società contemporanea, consentendo financo di formulare riflessioni retrospettive rispetto ad un’Italia in bianco e nero ormai distinta e distante.
Scrivo queste parole mentre alla mente mi sovviene il ricordo di Pier Paolo Pasolini, un intellettuale rigoroso, fermo nelle sue posizioni, intento a preservare già all’epoca il mito del pudore dalla grottesca società mondana. Anche Monicelli era sensibile a questo richiamo: in una delle ultime interviste concesse rammentava come la frase “non avere vergogna di nulla” si fosse trasformata da un epiteto ad un pre-requisito assolutamente indispensabile per un carrierismo mediatico disarmante.
La manifestazione di ieri, indetta da Giuliano Ferrara e volta a difendere il Cavaliere dall’interdizione, s’inserisce in questo contesto, e rappresenta a suo modo la cartina di tornasole di una certa visione della politica italiana. Dietro lo slogan volgare, dietro quel “siamo tutti puttane”, ci sono vent’anni di berlusconismo: vent’anni in cui si è progressivamente tentato di far passare per vera anche la più sordida bugia, quella concernente una minore spacciata, con indomita insolenza, per nipote di un capo di Stato straniero. Dietro quell’anatema, rivolto a tutte le coscienze, c’è la precisa volontà di affermare una generale colpevolezza, un viscido richiamo all’egualitarismo del peccato, volto a nascondere le responsabilità morali e penali di qualcuno. Sì, perché se tutti noi siamo colpevoli, l’indulgenza plenaria diventa una forma oculata di rispetto: verso di noi, verso la nostra coerenza, verso la nostra reale natura. Purtroppo, però, non è così: non è una questione di mera concupiscenza. Non basta mettere del fango nel ventilatore per insozzare le vesti di una pur esausta nazione.
C’è un’altra Italia che rifiuta, per dirla con Borsellino, il puzzo del compromesso. C’è un’Italia che allibisce di fronte al tentativo, quello sì talebano, di adescare minorenni. C’è un’Italia che non è costruita attorno al Palasharp di Giustizia e Libertà, e ciononostante prova imbarazzo all’idea che il proprio capo di governo possa aver pagato escort ed olgettine, mentre frattanto un suo ministro inaspriva le pene per il reato di sfruttamento della prostituzione. Scriveva quel genio sregolato di Corrado Guzzanti: “Ci avevano detto che avrebbero tolto le mignotte dalla strada. Ci chiedevamo dove le avrebbero messe. Ingenui!”. E’ questo il punto: c’è un’Italia ingenua, pulita, perfino pudica, che mal sopporta le continue menzogne a reti unificate. E’ un’Italia, insomma, che vuole voltare pagina per consentire alle migliori energie del paese di essere valorizzate sulla base del merito e della competenza. C’è un’Italia che non si sente puttana, nonostante le intemerate di Ferrara, e che la sera – quando spegne la luce – soffoca con un pensiero: puttana loro.
Non spetta a me difendere Berlusconi (anche se, forse, farei meglio dei suoi avvocati, che lo hanno esposto alla maniera di Totò, come ha osservato ieri sul Corriere Gaetano Pecorella). Osservo solo che prima del 1994 Berlusconi era stato risparmiato dalle attenzioni di una magistratura che non aveva esitato a violare ben altri santuari.
Non spetta a me neanche giustificare Giuliano Ferrara (anche perchè non ho mai sputato su Hegel, come si vantano di aver fatto alcune sue recenti collaboratrici). Osservo solo che non mi sono piaciute neanche le tricoteuses che hanno festeggiato sulle gradinate del Palazzo di Giustizia (“invasione” anche quella?).
Mi convince, invece, la contraddizione che segnala Lombardo fra la linea di difesa del Cavaliere e la politica giudiziaria portata avanti dai suoi governi. Non solo perchè tesa a salvare i white collars mentre riempiva le carceri di immigrati e tossicodipendenti (oltre che di prosseneti). Soprattutto perchè l’unico modo di rivendicare efficacemente il primato della politica è fare politica. Il contrario, cioè, delle leggi ad personam alternate alle Bossi-Fini e alle Fini-Giovanardi.