Ci sono tante cose che in questi giorni non capisco; per esempio non capisco il fastidio di Bersani per la candidatura di Albertini al Senato con la ‘lista Monti’, che, dice, potrebbe “togliere le castagne dal fuoco a Berlusconi e alla Lega”. Pensa forse che Albertini rompa la logica bipolare togliendo voti al centrosinistra oltre che al centrodestra? Forse immaginava di raccogliere consensi anche in quella fascia di elettorato? Mah …
D’altra parte tutto lascia intendere che il gruppo dirigente del Pd concepisca il partito come un grande supermercato della politica, dove l’elettore entra e può scegliere il prodotto che più gli aggrada in quel momento. Sei di sinistra? Ti piacerebbe questo Stefano Fassina, o un Cesare Damiano? I tuoi gusti sono ancora più di sinistra? Beh, puoi provare la porta a fianco, quella di Sel.. E così via fino a coprire tutto l’arco dell’offerta politica, dagli operaisti alla Mario Tronti fino ai confindustrialisti alla Gianpaolo Galli, passando per gli esponenti più sensibili ai valori etici del cattolicesimo come Rosy Bindi o Ernesto Preziosi, per quelli che si richiamano con più forza alla laicità dello Stato come Ignazio Marino o Aurelio Mancuso. E poi ancora con i magistrati, i giornalisti, i sindacalisti, i politici di lungo corso e i neofiti sbocciati con le primarie. Ce n’è per tutti i gusti. Certo sono tramontati i partiti ideologici; oggi c’è facebook e twitter, ma da qui a perdere ogni connotato riconoscibile, ce ne passa.
Ma sono proprio così sicuri al Pd che sia questa la strada giusta non solo per intercettare il maggior numero possibile di preferenze, ma anche, dopo, per governare senza scontentare tutti?
Un conto è avere al proprio interno, come le grandi socialdemocrazie europee, un ventaglio ampio di orientamenti politici differenti che si innestano su una storia con un percorso limpido, senza ambiguità; un conto è averli opposti e contrapposti in un corpo nato solo da pochi anni che ha per di più proprio l’indeterminatezza politica di sé nella sua ‘ragione sociale’.
Piuttosto intravedo in questa strategia, la permanenza della scelta veltroniana del partito ‘liquido’, del contenitore, o meglio del comitato elettorale, che serve a conquistare il potere (per poi gestirlo inevitabilmente nel modo peggiore).
Più che di una buona ‘sintesi’ politica, Bersani su questa strada dovrà accontentarsi di un pessimo ‘minimo comune denominatore’. D’altra parte un partito che ha scelto di chiamarsi ‘democratico’ punto e basta, la dice lunga sulla vaghezza degli intenti. Per tornare a Milano, ecco allora che intravedo forse il vero timore del gruppo dirigente piddino: quello che tra una ‘lista Monti’ che punta a rifondare in chiave moderna la diccì e un partito che pretende di rappresentare tutto l’arco politico costituzionale, come si sarebbe detto trent’anni fa, l’elettore scelga l’offerta più schietta e autentica, l’originale, penalizzando chi per decenni ha scantonato evitando accuratamente ogni volta di scegliere. Mi resta una domanda: non scelgono perché non possono, perché non sanno o perché non vogliono?