Come eredi delle vicende del movimento operaio e contadino siamo sempre esposti a due rischi: da un lato quello della retorica sterile, dall’altro quello della perdita e della dissipazione di un patrimonio inestimabile. Molti di noi, poi, si sentono rappresentanti dei principi più alti e nobili delle tradizioni socialista, liberale e cristiano-sociale. Ciò, però, non andrebbe vissuto in chiave difensiva, come una sorta di semplice contraltare rispetto alla demagogia xenofoba, a sua volta espressione di un atteggiamento di “difesa” dai possenti mutamenti in atto.
Vivere un Primo maggio consapevole e vivere in maniera matura la propria identità di liberalsocialisti vuol dire perseverare nello sforzo volto ad aggiornare la nostra cultura politica dinanzi a dilemmi quali il rapporto individuo-comunità di appartenenza, libertà-sicurezza, reale-virtuale, lavoro-lavori-ambiente, locale-globale e così via. E proprio la dimensione globale, quasi a chiudere il cerchio, ci riconduce alla storia del Primo maggio e al respiro internazionale delle lotte del passato.
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