Quando ero giovane e frequentavo una di quelle grandi coscienze della Nazione che allora v’erano ancora, Arturo Carlo Jemolo, non di rado ascoltavo da lui un insistito riferimento alla “casa comune”. Senza nessun richiamo ultraterreno, in lui cattolico ‘risorgimentale’, ma come un peculiare e positivo atteggiamento di ciascuno – governante e quidam de populo – verso il bene la comunità, politica e sociale, d’appartenenza. Un ‘bene comune’ che ciascuno doveva perseguire in quanto partecipe dei vantaggi da ciò derivanti, ma anche responsabile perché questi vantaggi potessero essere realizzati. Questo insegnamento, entrato nella profondità dei miei ricordi, è molte volte riaffiorato allorché mi sono trovato in tanti paesi – in Inghilterra come in Francia, negli Stati Uniti come in Germania – dove il rispetto delle regole appariva naturale a ciascuno in quanto membro di una comunità. Talvolta, va detto, una comunità troppo rigorosa: volta a controllare pesantemente le condotte dei singoli e seguirle con sospetto. Ma questo era il bene comune, coltivato, sotto l’usbergo delle istituzioni politiche e sociali e della legge, da tutti o quasi proprio perché sentito come tale.
Poi, negli anni della mia vecchiaia, sono arrivati i ‘beni comuni’: come Halloween, i Babbi natale etc., li abbiamo importati dal mondo anglosassone, come i provinciali importavano modelli e addirittura nomi dal centro dell’Impero: Roma. Non discuterò il fondamento teorico, non già del riferimento ai ‘commons’, ma la sua effettiva utilità. Avevamo già le nostre regole. Quello che però è avvenuto è la saldatura con le promesse e i progetti che comunisti (e cattolici) hanno inserito nelle tavole della Costituzione. Divenuti diritti di tutti e di ognuno, le cose per cui lottare e gli strumenti stessi del vivere sociale (poter disporre di acque correnti, poter lavorare, poter aspirare a una condizione di vita dignitosa) hanno cessato di essere il contenuto di uno sforzo comune per divenire clava da brandire indipendentemente dalla comunità. Il senso di un diritto di ciascuno, inalienabile e originario, isola costui dallo sforzo comune per realizzare un progetto e contribuisce a far dimenticare, nella lotta, l’appartenenza alla vecchia ‘casa comune’. Grazie, cantori dei ‘commons’.