Vi sono dispute che consentono, al di là delle intenzioni dei protagonisti, di far emergere nodi e questioni nebulose o controverse. Ѐ il caso dell’espressione proposta su l’Unità da Alfredo Reichlin, all’indomani del voto, riguardo al Pd: “partito della nazione”. Già al tempo del Pds alcuni osservatori lamentavano il fatto che non ci fosse stata da noi una vera e propria Bad Godesberg: l’abbandono senza equivoci di una visione di classe della politica. Come di consueto, in Italia prevaleva l’attitudine a giustapporre prospettive diverse. Perciò di primo acchito ho inteso il “partito della nazione” come il partito del popolo italiano, dei cittadini; come il compimento, finalmente, della nostra Bad Godesberg. E vi scorgevo anche un’eco dell’idea di soggetto nazional-popolare, nell’accezione migliore.
Venerdì 6 giugno, però, l’intervento di Riccardo Terzi, sempre su l’Unità, mi ha fatto riflettere. Non si rischia con quell’espressione di confondere la parte con il tutto (ammesso che vi sia un qualche “tutto”)? La vita politica nazionale non è l’espressione del confronto e del conflitto di più soggetti? Perché una singola forza politica dovrebbe, per così dire, “riassumerla”? Certo, in una particolare fase un partito e un leader possono più di altri interpretare istanze e interessi: con ciò, però, non coincidono affatto con la nazione.
E se accanto al discorso sulla Bad Godesberg nostrana ci fosse (ahimè, la solita giustapposizione!) l’eco della “missione salvifica” del “partito nuovo” togliattiano rispetto alla democrazia italiana? E, più in generale, la tendenza ad attribuire alla maggiore forza della sinistra un compito speciale e, neanche a dirlo, “storico”?