Decenni fa Giorgio Amendola scriveva che, anche nella migliore delle società, il lavoro avrebbe ancora almeno in parte rappresentato una fonte di “alienazione”. E già nel 1984 Peter Glotz notava dal canto suo il venir meno dell’“etica del lavoro”. Si potrebbe persino risalire, poi, a Thomas More, il quale, nella sua Utopia, prevedeva lo svolgimento a turno dei compiti sgradevoli (una sorta di corvée), in maniera che ciascuno si potesse dedicare per il resto del tempo ai propri interessi e alle attività creative.
Così oggi siamo al cospetto di società “non lavoristiche”, nelle quali però la ricerca del lavoro (e se possibile di un lavoro adeguato e soddisfacente) ancora rappresenta una delle preoccupazioni principali e uno dei motivi di tensione e di malessere dei singoli, delle famiglie e della comunità. Un paradosso, almeno apparente.
Si scorgono sempre più altrove le forme di realizzazione piena di sé, il tempo libero (o liberato) viene considerato sempre più prezioso, e la situazione sociale conosce tante altre variabili e tanti altri fattori rispetto alla semplice condizione lavorativa: la cosiddetta sicurezza percepita, la salute, la qualità dell’ambiente nei vari quartieri, le relazioni interpersonali, la possibilità di accedere ai servizi, alle informazioni, ai saperi.
Nel contempo, però, la mancanza o la perdita del lavoro viene vissuta come fonte di frustrazione. Per il fatto di non disporre ancora o di non disporre più di un reddito, certo; ma pure in quanto ci si sente sospinti verso la marginalità. Le nostre società, infatti, tendono a separare fortemente “insider” ed “esclusi”, relegando questi ultimi ai margini: l’esperienza del margine come cifra dell’esclusione dal mondo del lavoro, dei lavori. Da qui uno dei motivi principali di frustrazione personale e sociale.
Il primo maggio, dunque, andrebbe ormai concepito come un’occasione per riflettere su tale groviglio di aspirazioni, spinte e istanze contrastanti, in modo da recuperare appieno il proprio senso. E ciò vale ancor di più per coloro che si sentono eredi di una tradizione politica e culturale che intorno al lavoro ha trovato uno dei suoi momenti più alti di espressione, contribuendo alla costruzione delle società del benessere. Le quali però, ormai da tanti lustri, richiedono un’opera non facile di ridefinizione che merita di essere accompagnata dalla rielaborazione di principi e di valori.
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