Se non fosse per la forza dell’abitudine, ciò che i tg e la stampa ci propongono ci apparirebbe di certo paradossale. Da un lato la crisi, il malessere e il malcontento; dall’altro soggetti politici sempre più simili all’ombra di se stessi. Soggetti assai lontani dal rappresentare partiti veri e che pure occupano le prime pagine.
Di uno di essi non è chiaro nemmeno il nome, e a seconda dei giorni e degli istanti assume i contorni del Pdl, di Forza Italia, di una sorta di federazione di fazioni. Insomma: uno strano fenomeno che metterebbe probabilmente in scacco la capacità di ragionare sulle sfumature propria dei filosofi e dei teologi del medioevo.
Non meno chiaro è il quadro dell’altro protagonista, il Pd. Tanti esponenti dem sostengono Matteo Renzi: si pensi a Walter Veltroni e a Piero Fassino. Eppure nei circoli è come se “il partito”, incarnato da Massimo D’Alema, si identificasse con Gianni Cuperlo, e il sindaco di Firenze fosse un outsider. Nel contempo, però, resta probabile che l’outsider diventi segretario. Un altro rompicapo.
Da un lato si scorge un vuoto spaventoso, un’assenza. Mancano partiti e leader veri. Dall’altro vi è un sovraffollamento di nomi, sigle, aspiranti capi. I quali parlano sì del malessere diffuso, ma lo fanno come se si trattasse di uno dei mezzi della contesa; come se fosse un’arma. E in uno scenario del genere – l’ormai celebre partitocrazia senza partiti – a mostrarsi sempre più deboli e impotenti sono sia la politica sia la società.