La pacificazione, tanto per chiarire il concetto, viene dopo la pace. Non è l’accordo formale che, con le sue clausole di garanzia, pone fine a un conflitto armato. E’, piuttosto, una specie di “smobilitazione degli spiriti”; quella che, più di ogni altra cosa, garantisce la permanenza della stessa pace.
La pacificazione, poi, è essenzialmente nazionale; perchè il conflitto da superare ha i connotati di una guerra civile.
Ancora, la pacificazione, in generale e nel caso italiano, è una esigenza formulata dagli sconfitti. Nel nostro caso, l’esempio è quello degli eredi di Salò e dei nostalgici del ventennio; di persone che, peraltro, avevano fruito dell’amnistia e anche del diritto di organizzarsi politicamente e di partecipare, quindi, a pieno titolo, alla vita politica nazionale.
E, allora, la richiesta di “pacificazione nazionale” formulata endemicamente nel corso degli anni, mirava a qualcosa di più. Era, per un verso, una rivendicazione diciamo così sindacale: quella di riservare ai combattenti di Salò gli stessi diritti e gli stessi riconoscimenti garantiti ai partigiani e agli esponenti del Regio esercito. Ma era anche quella di passare in conto profitti e perdite le vicende aperte prima e dopo la Liberazione: dagli sconfitti, il riconoscimento della legittimità (e, sia pure a denti stretti, anche delle ragioni) dei vincitori; dai vincitori il riconoscimento delle ragioni morali degli sconfitti. Chiudendo così la partita.
“Tutto ciò premesso”, la “pacificazione nazionale” di Brunetta è una roba del tutto diversa. Per prima cosa non può certo riferirsi ai postumi di un conflitto armato; neanche di bassa intensità. Viviamo una fase in cui l’eliminazione al dettaglio del nemico – donne che rivendicano la loro libertà, impiegati comunali e/o regionali, funzionari di Equitalia, forze dell’ordine – è praticato con gusto; ma non ci risultano omicidi, ferimenti o anche comuni risse che coinvolgano le “opposte fazioni”.
L’insulto, questo sì, è stato praticato senza limiti. Con i relativi costanti inviti ad abbassare i toni. Tema, peraltro, banale e logoro. E, quindi, non degno della retorica alta del capogruppo Pdl.
Non si tratta, poi, di una richiesta del vinto al vincitore. Perchè, come è evidente a tutti, e quindi anche a Brunetta, qui sono tutti vincitori; e, se c’è un vincitore più vincitore degli altri, questo è sicuramente il Cavaliere. Infine, qui non c’è nessun appello/richiesta. C’è, semmai una constatazione. Che potrebbe essere riassunta così: “Per anni vi siete identificati come nemici nostri e del nostro amato Capo; adesso vi siete finalmente accorti che, su questa linea, non andate da nessuna parte e che, sul resto potete collaborare con noi senza problemi. Ne siamo lieti; e pronti perciò ad abbracciarvi. E senza rancore”. Che cosa pensa il Pd di tutto questo? Attendiamo una risposta. Con calma; e senza fretta.