Orgoglio e pregiudizio deve immensa popolarità alla trama di Jane Austen, all’impertinenza tematica del romanzo e alla qualità della più recente trasposizione cinematografica. Ma soprattutto al titolo azzeccato. Così che le due parole insieme non si possono più usare se non pagando pegno con la citazione della fonte.
Ciò detto, è questo il titolo delle due lunghissime giornate che Milano ha dedicato all’inaugurazione di Expo.
Con dentro una tale quantità di eventi, ciascuno con un certo quoziente di rischio, da rendere ai quotidiani – malgrado il primo maggio silente – un immenso rifornimento per le pagine nazionali e locali.
Orgoglio è certamente quello della città che ha superato la prova, con la quale ha lanciato la sua nuova immagine internazionale aderendo senza propagandismo (né municipalistico, né politico) al complesso e turbolento cantiere. Un cantiere arrivato al taglio del nastro con qualche acciacco, con ritardi dichiarati (Sala), qualche irrazionalità, ma con tante qualità e novità.
Orgoglio è  quello di un robusto programma di Expo in città che apre ora le porte ad una rete partecipativa autonoma, stabilendo oltre lo spazio della Exhibition un rapporto sui contenuti tra milanesi e visitatori.
Orgoglio è quello degli eventi della Scala, della cultura, dell’arte, della moda, del design, delle imprese, del Corriere della Sera: di fare cornice ciascuno con il suo tassello di iniziativa legata al rapporto tra identità e prospettive. La modernizzazione della versione della Turandot – per fare un solo esempio – grazie alla collaborazione tra artisti e tecnici italiani e internazionali, ha ricollocato lo stesso Puccini dal languido Ottocento all’ambiguo e tormentato Novecento. Ma c’è stato altro: il riposizionamento della Pietà Rondanini, l’apertura in simultanea delle mostre su Leonardo e sull’età ducale, la nuova linea della MM, la celebrazione dei magnifici ottanta di Giorgio Armani, il rapporto tra moda e arte nella proposta di Fondazione Prada, Art&Food alla Triennale, l’apertura della Darsena con un ridisegno urbano da anni promesso e ora avvenuto con decoro e funzionalità, l’Album di figurine del Corriere sui 150 grandi milanesi nativi e adottivi. Fermiamoci qui.  L’agenda febbrile ora tenderà l’elastico tra il Decumano di Rho e  mille eventi in città. Un segno di vitalità che ha fatto e farà impressione.
Ma – sopra ad ogni cosa – orgoglio è ciò che popolo e media hanno detto per sottolineare lo spirito con cui la città si è stretta attorno al suo sindaco in una operazione prima di tutto di appartenenza, poi di servizio civile, infine di ridicolizzazione e neutralizzazione dello scempio del centro cittadino ad opera non di “quattro teppistelli” ma di un plotone robusto di professionisti della violenza urbana. Non sappiamo ancora se essi potevano essere neutralizzati “a monte” da parte della Polizia. Si capirà. E’ certo che sono stati neutralizzati a valle – pur con un prezzo pagato dalla città – in ordine al messaggio di negatività che sarebbe potuto passare se la cultura del Pregiudizio avesse fatto breccia. Cioè se il racconto del Pregiudizio avesse trovato formule più convincenti; se la pur lecita protesta contro Expo, multinazionali, interessi attorno all’economia dell’alimentazione,  avesse immaginato una capacità di dialogo con forme meno stantie e pericolose di vecchi cortei che purtroppo spesso  tengono in pancia  bombe molotov.
Così che Orgoglio e Pregiudizio, questa volta, hanno portato a compimento due lunghi prologhi separati che attorno all’Expo hanno percorso gli anni che scorrono tra l’attribuzione a Milano di Expo (31 marzo del 2008, dunque sette anni fa) e l’apertura dell’evento. Si tratta di due torrenti immateriali che investono questioni identitarie e simboliche della vita di Milano – in tensione tra Italia, Europa e mondo – e che percorrono spesso al coperto anni difficili,  prima di mostrare a tutti carattere, potenza, proposta. Nello spazio di poche ore orgoglio oppure pregiudizio avrebbero potuto sanzionare due diversi volti della comunità. Una sorta di derby tra il carattere costruttore (che si accompagna da sempre a critiche e a confronti) e il carattere distruttore (che si accompagna da sempre a esibizionismo e provocazione).
Giuliano Pisapia ha avuto il merito non solo di non intestarsi – nelle forme plateali che altri praticano in questi casi – i successi. Ma anche di chiamare a raccolta una partecipazione ferma e sdrammatizzata per liquidare rapidamente un’ipoteca. Quella che qualcuno sta perseguendo (al di là dei black bloc) per fare impennare la curva della domanda di sicurezza e di ordine pubblico e per snaturare la politica della città.
Finché essa non si snatura, si intende, la critica a tutto ciò che abbiamo detto resta libera.