Per come l’ho concepito io, insieme ad altri, dall’Ulivo è nato il Pd. L’intento era quello di superare la divisione del lavoro, con la gamba di centro che intercetta il voto moderato e quella di sinistra che “pesca” nell’elettorato dell’ex Pci. Non a caso la Fed (Federazione dell’Ulivo) rappresentava un tentativo di passare dall’Ulivo inteso come coalizione a quello concepito come soggetto politico (cedendo “quote di sovranità”) e in prospettiva come partito.
Non sono certo mancati tentennamenti e ambiguità: si pensi alla formula, adottata in un congresso dei Ds, “Una grande sinistra in un grande Ulivo”: una sorta di scatole cinesi.
Chi fa appello oggi alla rinascita dell’Ulivo scorge nel Pd una formazione prevalentemente “di centro” (come se la politica si riducesse a un dato geometrico), con la quale poter costruire alleanze da sinistra. In fondo è la riproposizione dello schema del “compromesso storico”. Il Pd, novella Dc, come forza democratica con la quale coalizzarsi per battere le destre ed evitare derive demagogiche.
In realtà, specie a livello locale, ad essere deficitaria nel Pd non è “la sinistra”, bensì la cultura laica, liberale, libertaria, liberalsocialista. Non propongo di dar vita a un partito radicale di massa: ma senza il sale e il lievito di quella sensibilità e di quell’approccio forse non andremo lontano.
Non è un problema di “pantheon” o di icone, quanto di mentalità. Culturalmente la gran parte del Pci e della Dc ha già dato al paese tutto ciò che poteva. Ѐ la mentalità liberale che fa fatica a esprimersi compiutamente nelle pieghe di un’Italia ancora corporativa e a tratti ripiegata su se stessa. Sono le aspettative, andate deluse, che il ceto medio riponeva nel Psi di Bettino Craxi (coniugare i bisogni con il merito) a non riuscire a riemergere appieno. Su quel versante c’è molto da lavorare.
Dell’esperienza di governo dell’Ulivo parleremo diffusamente nel numero di marzo della rivista. Quanto al liberalismo che manca, al sistema politico repubblicano manca fin dall’inizio. Luciano Cafagna ha scritto pagine memorabili sul “lascito fascista” ereditato dalla Repubblica. E Michele Salvati ha descritto bene la “path dependence” che condizionò il nuovo sistema politico. Anche per questo voler rivedere la Costituzione del ’48 non è una bestemmia.